giovedì 21 luglio 2022

“TROPPO UMIDO E LE PAGINE AMMUFFISCONO, TROPPO SECCO E DIVENTANO FRIABILI ( SERIE TV “YOU”)

 





In questo post (https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/04/sars-cov-2-analisi-della-trasmissione.html) ho analizzato e mi auguro chiarito ciò che all'inizio della pandemia, è sempre stato negato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero che il SARS-CoV-2 non si trasmetteva attraverso l'aria. 

Ora, grazie ad un nuovo studio, esce fuori che anche il grado di umidità relativa (RH) influisce pesantemente sulla capacità di sopravvivenza del coronavirus nell’aria.

Durante l’espirazione, gli aerosol emessi subiscono una bella “botta”. Perché? Perché in un baleno gli aerosol vengono spinte dall'ambiente umido e ricco di anidride carbonica dei polmoni nell'aria degli ambienti domestici o di qualsivoglia ambiente al chiuso, dove le condizioni sono ovviamente diverse rispetto ai polmoni. Per cui, tutti i virus, incluso il coronavirus SARS-CoV-2, che decidono di fare l’autostop servendosi degli aerosol per raggiungere altri ambienti ed infettare, in tal modo possono nuocere a se stessi.

Stando ad una recente ricerca la capacità infettante del SARS-CoV-2 può diminuire fino al 90% entro pochi minuti dall'impatto con l'aria nei luoghi chiusi. (https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.2200109119).


Si tratta del primo studio che ha indicato e dimostrato come le condizioni ambientali possono influenzare la sopravvivenza di SARS-CoV-2 veicolati dagli aerosol subito dopo l'espirazione. I ricercatori hanno messo in evidenza come la sopravvivenza del virus sia fortemente influenzata dall'umidità relativa (RH) del nuovo ambiente in cui gli aerosol vengono a trovarsi. 

Per umidità relativa si intende “il rapporto in % tra la quantità di vapore acqueo contenuta in una massa d’aria e la quantità massima che la stessa può contenere nelle medesime condizioni di temperatura e pressione, ad ogni singola temperatura”, per cui quando le persone parlano comunemente di umidità, state pur certi che si riferiscono alla umidità relativa che ci indica quanto “umida” sia l’aria che le circonda. Qualche esempio può essere utile per chiarire il concetto: una RH bassa, diciamo <40%, può causare secchezza della pelle, prurito e sete mentre una RH, diciamo ben >60%, fa percepire le temperature fredde più fredde e le temperature calde più calde. Se poi il clima è molto caldo con una elevata RH la capacità del nostro corpo di rinfrescarsi attraverso la sudorazione è compromessa.


Ma ritorniamo a bomba allo studio. Jonathan Reid, autore principale nonché direttore della Bristol Aerosol Research Centro presso l'Università di Bristol, chiarisce che a RH inferiore al 50%, gli aerosol cristallizzano mentre l'acqua evapora e i sali al loro interno si concentrano. Questa condizione In pochi secondi è in grado di inattivare il 50% del virus all'interno degli aerosol. Contrariamente, a umidità più elevate, tutto si svolge più lentamente e quando l’RH si avvicina al 90%, interviene un altro fattore molto importante per l’inattivazione virale, ossia un rapido aumento del pH. Infatti gli aerosol diventano più alcalini nel momento in cui si liberano della CO2 per adattarsi ai valori degli ambienti esterni notoriamente più bassi di quelli polmonari.

Insomma, per farla semplice, quando l’aria è molto umida, la capacità infettante diminuisce del 50% entro i primi 5 minuti e diminuisce del 90% entro 20 minuti.


Chiaro che a questo punto, dando per buono lo studio, la capacità infettante di un patogeno non si correla direttamente ed esclusivamente al grado di temperatura, per cui si potrebbe mettere in discussione che siano le alte temperature, piuttosto che l’RH, a sopprimere il SARS-CoV-2


A supporto, Linsey Marr, ingegnere ambientale presso la Virginia Tech. sottolinea come i risultati che emergono da questo studio siano simili a quanto riportato per altri virus veicolati grazie agli aerosol, come l'influenza (https://www.cambridge.org/core/journals/epidemiology-and-infection/article/airborne-microorganisms-survival-tests-with-four-viruses/78E907605FDC1FCF878F4C48FC0BF3B6). Ma come spesso accade quando si indaga con metodo su condizioni sconosciute, non mancano, come contraltare, anche studi in cui si afferma che i virus sopravvivono meglio a livelli bassi di RH e questo dal momento che l’aria secca può rendere le persone più suscettibili alle infezioni virali, contrastando una corretta risposta immunitaria e minando i meccanismi di difesa naturali di cui dispongono i polmoni.


Insomma “Hard Science, Hard Choices” come scriveva anni anni fa Sandra J. Ackerman.


venerdì 15 luglio 2022

“MR. STEVE JOHNSON” E DECENNI DI PILLOLE DIMAGRANTI IMPERFETTE (parte seconda)

Tutta la storia che accompagna lo sviluppo dei farmaci dimagranti è piuttosto burrascosa. Fin dall’inizio, le varie molecole che si sono succedute sono state prese a “martellate” da tutta una sfilza di effetti collaterali che, quando girava bene, si fermavano ad attacchi ipertensivi, e quando girava male, poteva scapparci anche il morto. 

I primi problemi iniziarono già negli anni '30, quando il 2,4-dinitrofenolo (DNP), un composto chimico industriale  che agisce come un disaccoppiatore mitocondriale capace di interferire con le reazioni che creano e immagazzinano energia nei nostri corpi, fece da apripista in quella che sarebbe stata una lunga corsa nell’individuare sostanze chimiche per dimagrire. E questo perché senza un posto dove andare, l'energia veniva rilasciata sotto forma di calore, portando alla perdita di peso. Porta oggi e porta domani, porta a destra e porta a manca, in men che non si dica si capì che poteva portare però anche ad aumenti incontrollati della temperatura corporea, motivo per cui il farmaco non fu approvato dalle autorità di regolamentazione. In un mondo globale dove nel deep web trovi dai Kalashnikov ai carri armati, vorrete mica pensare che a qualcuno potesse sfuggire l’opportunità di acquistarlo sia pure illegalmente? No di certo!!! E così, a umma umma tra il 2001 ed il 2010 più di una dozzina di persone ci “lasciarono le penne” dopo aver acquistato ed assunto il DNP, incluso un ragazzo di 28 anni che usava la sostanza per “mettere in risalto”i risultati ottenuti praticando il suo sport preferito, il bodybuilding ma la cui temperatura interna raggiunse i 41° C (106 ° F).


Negli anni '60, la fantasia probabilmente iniziava a volare piuttosto rasoterra e la maggior parte dei farmaci dimagranti approvati dalla FDA derivavano tutti dall'anfetamina, noto anoressizzante. Una di quelle pillole, la fentermina, è tutt’ora ampiamente prescritta, e le persone che l’assumono in media perdono tra il 5 ed il 10% del loro peso iniziale. Il tallone d’Achille di questa classe di farmaci è che può creare dipendenza e causare un aumento della pressione sanguigna assolutamente rilevante e pericolosa, indi per cui, perciò, percome questi farmaci possono essere assunti solo per poche settimane e nemmeno a cuor leggero.


“Se di maggio rasserena, ogni spiga sarà piena; ma se invece tira vento, nell'estate avrai tormento” ed il tormento sotto forma di carestia verso i nuovi farmaci dimagranti si protrasse lungo il ventennio '70 ed '80 per concludersi, si fa per dire, nel 1996, quando la FDA approvò la dexfenfluramina come versione “top di gamma” rispetto alla precedentemente approvata fenfluramina tra i farmaci dimagranti.  Entrambe le molecole rientravano nella classe di farmaci definiti come inibitori dell'appetito e chiamati, dal momento che agiscono abbassando la quantità di serotonina nel cervello, anoressizzanti serotoninergici. 


Prima di arrivare a questa approvazione, molti medici, soprattutto statunitensi, utilizzarono piuttosto a manetta una combinazione di fentermina con la fenfluramina, nota come Fen-Phen, senza che comunque questa avesse mai ricevuto l’ok da parte dell’FDA.

Ma poi arrivarono segnalazioni di danni alle valvola cardiache per cui nel 1997, l’FDA bocciò questa associazione. E da lì in avanti, per i farmaci dimagranti, fu come andare in giostra sulle montagne russe, tra approvazioni e ritiri. Qualche esempio?

Meridia (sibutramina) è stata approvata dalla FDA nel 1997 e poi ritirata dal commercio nel 2010 a causa di effetti collaterali che includevano un aumentato del rischio di infarto;

Rimonabant, il primo antagonista dei recettore del cannabinoide del tipo 1 (CB1), approvato in Europa nel 2006 ma ritirato 2 anni dopo a seguito di una controversa correlazione con disturbi psichiatrici e tentativi di suicidio;

Belviq (lorcaserin), una piccola molecola che stimola un recettore della serotonina, ritirata nel 2020 dopo 8 anni di commercializzazione a causa del rilievo di una maggiore incidenza di casi di cancro.


Ovvio quindi che per un lungo periodo di tempo, investire in questo settore è stato considerato dalle aziende farmaceutiche un azzardo, tenendo conto anche del fatto che, per tutto quanto riassunto in breve prima, l’asticella normativa per l’approvazione dei farmaci dimagranti, è stata alzata di parecchio. Oggi, oltre a dover dimostrare una significativa efficacia per l’indicazione proposta unita al mantenimento per un anno di una perdita di peso pari al 5-10% del peso iniziale, vengono anche richiesti dall’FDA gli studi a lungo termine incentrati su sicurezza e tollerabilità.


Cose che capitano, soprattutto quando, passando da uno schema di trattamento che prevede una posologia con copertura tutto sommato limitata nel tempo, ci si catapulta nell’utilizzo cronico del farmaco. Un “salto” che si concretizzò nel 1999 per un nuovo farmaco chiamato Xenical (orlistat), una sorta di “blocca grassi alimentari” che agisce nel tratto gastrointestinale inibendo in modo selettivo le lipasi intestinali ( gli enzimi che potendo digerire i grassi ne favoriscono l’assorbimento). Questa molecola, fu infatti la prima di una lunga serie, a poter essere assunta ad andamento pressoché cronico, sebbene potesse causare, tra gli effetti collaterali, una fastidiosa diarrea : https://cen.acs.org/articles/95/i13/Hungering-obesity-treatments.html


E la storia…non finisce qui.


lunedì 11 luglio 2022

“MR. STEVE JOHNSON” ED IL SUO RAPPORTO CON LA BILANCIA DOPO L’ APPROVAZIONE DEI NUOVI FARMACI DIMAGRANTI.


Ma chi è Mr. Steve Johnson? Una persona qualsiasi, semplicemente uno dei tantissimi americani che a giugno di un anno fa si incuriosì alla notizia che la FDA aveva approvato un nuovo trattamento farmacologico - Wegovy, molecolarmente semaglutide - per il trattamento dell’obesità con almeno una condizione di rischio ad essa correlata come ipertensione, diabete di tipo 2 o colesterolo alto e da utilizzare in combinazione con una dieta ipocalorica unita ad una maggiore attività fisica. ( Meglio non dimenticare queste ultime due condizioni) - https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-approves-new-drug-treatment-chronic-weight-management-first-2014. 

Questo signore, un venditore di dispositivi medici, le aveva provate vanamente proprio tutte, per perdere quei 27 kg che si ritrovava addosso in più del dovuto, dal digiuno ad intermittenza ad una l’intensa attività fisica e rimase molto impressionato dai dati diffusi dalla Novo Nordisk e riferiti agli studi clinici che dimostravano una riduzione del peso medio del 15 % per i pazienti arruolati. Ed allora chiamò il proprio medico per poterne entrare in possesso. Cosa che avvenne, ma ben tre mesi dopo.

Insomma, la Novo Nordisk era totalmente impreparata a soddisfare una domanda tanto ingente per il proprio farmaco, dal momento che di Mr Johnson, ne uscirono a bizzeffe.


Perché? Semplicemente perché in una realtà zeppa di farmaci anti obesità con pericolosi effetti collaterali e molti ritiri dal commercio, le farmaceutiche erano particolarmente dubbiose nell’investire denari per lo sviluppo di nuovi farmaci con quella indicazione e di pari passo, i medici nel prescriverli. Ma lo sviluppo di Wegovy, coincise con un significativo cambiamento della definizione di obesità (https://www.cdc.gov/obesity/basics/adult-defining.html?CDC_AA_refVal=https%3A%2F%2Fwww.cdc.gov%2Fobesity%2Fadult%2Fdefining.html), indicata dai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie e che si applicava a chiunque avesse un indice di massa corporea (BMI) uguale o maggiore di 30, ed alla quale industrie e medici si adattarono più veloci di un razzo missile.

Non credo si debba essere dotati di super poteri per capire che in sostanza la varianza dell’annosa controversa definizione contribuì a giustificare il clamore suscitato da Wegovy, quale farmaco con maggiori rassicurazioni in termini di sicurezza ed efficacia ed ora avvallato tanto dai ricercatori, quanto dal mondo accademico e dal governo.


Ed ecco che in un battibaleno, mentre in un recente passato l’obesità era considerata alla stregua di un disturbo comportamentale, oggi la classificazione è quella di una malattia ad andamento cronico che, a causa delle frequenti correlazioni ed associazioni con condizioni patologiche, come il diabete, le malattie cardiache e l'ipertensione, richiede un trattamento continuo.

Vanno in questo senso le parole pronunciate da John Sharretts, endocrinologo e vicedirettore della Divisione per il trattamento del diabete, dei disturbi lipidici e dell’obesità della FDA: “Le persone perdono peso per poi riacquistarlo subito dopo e questo rende tutto molto complicato” - in effetti i vecchi farmaci per la perdita di peso non solo erano soggetti a pericolosi effetti collaterali, ma non funzionavano come volevano le persone. Le perdite di peso erano spesso modeste, intorno al 5-10%, e le persone in genere riprendevano peso non appena cessata l’assunzione dei farmaci. Questo continuo tira e molla certamente non contribuiva a fare la felicità della salute mentale di persone, già provate anche psicologicamente, ripercuotendosi sul grado di fiducia verso quella classe di farmaci - “L’obiettivo della perdita di peso dovrebbe essere la riduzione a lungo termine del grasso in eccesso per minimizzare qualsiasi conseguenza sulla salute”. 

Questo Blog, lo sa bene chi lo legge, nasce con l’intento di raccontare determinati accadimenti in ambito scientifico, senza peli sulla lingua e senza alcuna necessità di compiacere questo o quello, per cui mi pare “onesto” rilevare come spesso prendersi il merito della prima parte della risposta biologica da parte di alcuni produttori, quella per capirci in cui le persone perdono peso, per poi subito dopo incolparli per la seconda parte della stessa risposta biologica definita da una ripresa del peso, abbia determinato in molti una sorta di bias cognitivo. Lungi da me, comunque fare di tutta un’erba un fascio. 


Attualmente Wegovy è uno dei cinque farmaci sul mercato utilizzabili per ciò che le autorità di regolamentazione statunitensi chiamano "gestione cronica del peso". Circa il 42% delle persone negli Stati Uniti soddisfa la definizione di obesità del CDC (https://www.cdc.gov/obesity/data/adult.html) e le persone con un BMI più basso di 30 ma affette da una o più malattie metaboliche possono fare affidamento anche su quella che per semplicità definisco come una versione terapeutica ad azione più breve. Nome commerciale Saxenda (liraglutide molecolarmente)) ed approvato nel 2014.


Ma a controbilanciare questa innovativa tesi con relativa soluzione, ci si è messo di mezzo un altro tipo di orientamento, quello che dice, in sostanza, che essere grassi non è una malattia. Uno studio del 2016 dell'Università della California, a Los Angeles, conclude che il 29% delle persone che sono definite in gergo medico come obese, dal punto di vista metabolico sono assolutamente sane (https://www.nature.com/articles/ijo201617.epdf?sharing_token=04rXxI25LViyXd4DwnhAYNRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0PHiOJvEwhsVzWDqKZ-GghD3NPUo1F58ij5jste8OTh3jlrB6eqwHvaFr6X7G9vPwgy1-ato5rusqsccJx1rnhN5AQ1_RduUIKlYYsJNsh8mIti5Vqt1_POyy43N0wrE86FzKhIuv8tvGTzsJylR5z6zqZ4Fe0M3iXwPD1CQoz-7Q%3D%3D&tracking_referrer=cen.acs.org).

A fare da cassa di risonanza a questi risultati dando vita ad un vero e proprio movimento, ci ha pensato Ragen Chastain, una sorta di “miracolo multitasking”, in quanto scrittrice, divulgatrice, pubblica oratrice, ballerina, maratoneta, allenatrice, specialista in corsi di fitness e di altri animali fantastici, rigorosamente sovrappeso e decisamente contraria alla conclusione che obesità = patologia, tanto da affermare che essere grasso è semplicemente un normale stato dell’essere umano, per cui  definirlo come patologico risulterebbe stigmatizzante essendo utile solo per generare alti profitti. 


Questa opinione, molto diffusa, casca a fagiolo perché a breve, esaurito questo capitolo, inizierò, una lunga serie di articoli per chiarire una buona volta come sparare a zero sull’industria farmaceutica non sia esattamente un’idea geniale, anche se so che l’industria capace di sviluppare nuovi farmaci non sia ben vista, nonostante il dato assodato che l’R&D costituisca un'attività altamente rischiosa e molto costosa, con chance di successo dell'ordine del 10%. Ma di questo ne parleremo a tempo debito. To the next…


PS. Indovinate chi è il Signore immortalato nell’immagine. :-)))


giovedì 7 luglio 2022

SVILUPPO DI UN FARMACO ORFANO: UN GIOCO DA RAGAZZI PER QUALCUNO. NO! UN GRAN BEL CASINO…


Che cosa si intende per “farmaco orfano”? Sono farmaci che rispondendo ad una necessità di salute pubblica vengono “utilizzati per la diagnosi, la prevenzione ed il trattamento delle malattie rare. In Europa una malattia è considerata rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti e le prime norme relative ai farmaci orfani sono state introdotte negli Stati Uniti nel 1983, con l’emanazione dell’Orphan Drug Act”. Data la premessa iniziale è evidente come l’industria farmaceutica non sia in grado di realizzare introiti capaci di recuperare il capitale investito per il loro sviluppo. Esiste tuttavia la possibilità che una determinata molecola impiegata nella cura di una comune patologia, possa ricevere comunque una indicazione “orfana”.

Solo un esempio concreto può rendere l’esatta dimensione di un mondo che in troppi ignorano, o su cui si esprimono valutazioni del tutto ingiustificate portando a supporto svaghi onanistici certamente piacevoli (dipende dai punti di vista), ma alquanto “sterili”. Bene, la partnership Eiger / CordenPharma ha portato in dote il farmaco biologico Lonafarnib per la progeria, una malattia ultrarara che causa un inarrestabile invecchiamento precoce. Sono circa 400 i bambini in tutto il mondo che soffrano di progeria, nota anche come sindrome di Hutchinson-Gilford e che a causa di un prematuro invecchiamento genetico generalmente muoiono per complicanze cardiache ad un'età media di 14 anni e mezzo.


Nel novembre 2020, l'azienda californiana Eiger BioPharmaceuticals ottenne l'approvazione della Food and Drug Administration per l’utilizzo del Lonafarnib in pazienti affetti da progeria. Che sia chiaro, Il farmaco, venduto con il nome commerciale di Zokinvy, non è una cura ma, secondo i risultati degli studi clinici (https://www.ema.europa.eu/en/medicines/human/summaries-opinion/zokinvy), aumenta in media di 4,3 anni, e spesso più a lungo, la sopravvivenza.


Ma come si è giunti a tutto questo? La Eiger BioPharmaceuticals, non ha mai pensato di sviluppare questo farmaco da utilizzarsi per la progeria; piuttosto, nel 2010 ricevette in licenza questo composto dalla Merck, dove lo si stava sviluppando 

come trattamento per il cancro ed a quel punto si decise per un nuovo piano di sviluppo incentrato sulla cura della epatite D.

Un bel tourbillon vero? Durante lo sviluppo del Lonafarnib, Merck lo somministrò a più di 2.000 pazienti oncologici, riuscendo a dimostrare che la molecola era in grado di inibire la prenilazione (l’attaccamento di un lipide a una proteina) della proteina oncogenica Ras, la cui attivazione regola la crescita incontrollata di molti tumori e delle loro metastasi.

Questo fu il motivo per cui la Eiger BioPharmaceuticals, per un certo lasso di tempo, collaborò con Merck, con l’obiettivo di capire se il Lonafarnib fosse in grado anche di inibire la prenilazione ma con l’occhio rivolto al trattamento della epatite D.

Caso volle che in quello stesso periodo la Progeria Research Foundation fece presente di aver scoperto che la prenilazione su cui si stava lavorando, giocava probabilmente un ruolo importante anche in quella che era considerata una delle maggiori malattie rare conosciute, la progeria appunto.

E per la serie “prendiamo due piccioni con una fava” al CEO di Eiger, David Cory, balenò l’idea di immettere sul mercato il Lonafarnib per il trattamento della progeria, continuando tuttavia a svilupparlo anche per l’indicazione relativa alla terapia della epatite D. 


In breve questa malattia molto rara è causata da una mutazione del gene LMNA posto nel Cromosoma 1 e deputato alla produzione di una proteina chiamata Lamina A, una proteina che circonda il nucleo della cellula. Che cosa avviene in pratica? Vediamo di rendere “leggero” e comprensibile il tutto. A causa di un, chiamiamolo “errore di ortografia”, una base azotata C (Citosina) è sostituita da una T (altra base azotata nota come Timina) e ciò induce la produzione di una proteina Lamina A mutata definita con il nome di progerina, causa per l’appunto della  progeria (Base editing targets progeria mutation in mice). I ricercatori della Eiger BioPharmaceuticals dimostrarono che il Lonafarnib bloccava la prenilazione della lamina A riducendo così la produzione di progerina.

Dimostrazione tutt’altro che facile, visto l’esiguo numero di pazienti reclutabili per gli Studi Clinici, ma che si avvalse degli sforzi della Progeria Research Foundation che riuscì a far confluire bambini malati da tutto il mondo al Boston Children's Hospital, dove si svolsero i trial clinici su 62 pazienti da cui si rilevò un beneficio in termini di sopravvivenza nei bambini affetti dalla malattia.


La partnership con CordenPharma si realizza solo successivamente, nel 2015, con lo scopo di giungere, grazie a studi clinici di Fase II, alla registrazione e commercializzazione del farmaco per quella rarissima patologia. Una partnership di certo non scontata, visto che per un'azienda farmaceutica è molto costoso immettere una molecola sul mercato per un numero molto ristretto di pazienti. E non tutte le Aziende sono in grado di gestire il processo produttivo di un cosiddetto farmaco orfano, dal momento che, tanto per dirne una, parliamo di una produzione che si esprime in termini di chilogrammi, e non di “tonnellate” come avviene comunemente per i trattamenti farmacologici delle consuete patologie (Scale-up).


Produrre un farmaco orfano è senza dubbio una sfida, e chi farfuglia per sentito dire farebbe bene a tacere, per una volta. Una sfida impegnativa a partire dal batch record (il documento in cui sono contenuti tutti gli ingredienti e i componenti richiesti in ogni fase del processo di produzione, insieme a dimensioni, pesi, misurazioni oltre alle informazioni sulla  sicurezza, la corretta manipolazione dei materiali, la manutenzione, pulizia e sanificazione, per finire con le istruzioni relative al processo di produzione…mica cotica!!!).

Per non parlare del fatto che esiste un costo fisso associato al rispetto di tutti i requisiti normativi per ottenere l'approvazione dei farmaci che è, in qualche modo, indipendente dallo scale-up con cui si sta operando. A beneficio di chi non lo avesse afferrato prima, lo scale-up, per una impresa, non è proprio un dettaglio da niente, visto che è la procedura

che permette di passare dalla produzione nell’ordine di milligrammi o grammi a kilogrammi o tonnellate. 


Per cui, a meno di non essere dotati di un modo di ragionare che implichi una unica capacità di elaborazione di 1 bit (solo 0 e 1) e quindi una “cassetta degli attrezzi” molto limitata, non ci si dovrebbe stupire più di tanto se molte aziende biotecnologiche ricerchino partner capaci di garantire l’ottimizzazione di tutti i parametri coinvolti nel processo di sintesi del principio attivo “(temperatura, tipo di solvente, reagenti, tempi di reazione, formazione di sottoprodotti e loro eventuale allontanamento, ecc) in modo tale da avere una buona resa e, soprattutto, una buona riproducibilità del processo”.


Nota a margine: ovviamente, lo sviluppo del Lonafarnib per l'epatite D, garantirà una opportunità commerciale per la Eiger Bio-Pharmaceuticals sicuramente maggiore, considerato il fatto che questa malattia colpisce circa 12 milioni di persone nel mondo. Attualmente, i test clinici stanno coinvolgendo oltre 400 pazienti ed i prima dati sono attesi entro la fine di quest’anno. Ergo…ne riparleremo a tempo debito, ossia tra non molto.


lunedì 4 luglio 2022

QUANDO L’ATTESA NON SI PRESENTA COME UN FUTURO A MANI VUOTE… FDA, AMX0035 E L’INDICAZIONE PER IL TRATTAMENTO DELLA SLA

 


Che l’FDA si fosse presa un po' più di tempo, rispetto la data originale di fine Giugno 2022, posticipando qualsiasi decisione entro il 29 settembre 2022, per valutare se la molecola AMX0035 di Amylyx  potesse ricevere il via libera nel  trattamento della SLA, lo avevo già scritto qui: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/07/fda-ed-il-suo-piano-quinquennale-per-i.html

Ma questo ritardo può essere considerato una buona o una cattiva notizia? Se si dovesse prendere come indicatore il grado di risposta della borsa, allora non ci sarebbero molti dubbi, dal momento che gli investitori appaiono molto fiduciosi, tanto che le azioni di Amylyx sono aumentate del 36%. Good news, quindi parrebbe.


Ma andiamo con ordine. AMX0035 è una combinazione di acido tauroursodeossicolico (TUDCA) e di fenilbutirrato di sodio, che sono considerati fattori in grado di prevenire la morte delle cellule nervose, poiché si ipotizza che blocchino i segnali di stress all’interno dei mitocondri – le centrali energetiche delle cellule – e del reticolo endoplasmico.


Nel Mese di Marzo di quest’anno la terapia con AMX0035 di Amylyx è stata bocciata da un comitato consultivo esterno all’Agenzia (Il solito panel di esperti di cui ho scritto diverse volte) con una sofferta votazione resa tale grazie all'avvincente testimonianza dei pazienti che richiedevano a gran voce uno “start and go” come possibile opzione di trattamento (https://www.fiercebiotech.com/biotech/amylyx-pharma-fda-advisory-committee-vote-als-drug-single-study). Come ho già avuto modo di chiarire altre volte, l’FDA non ha nessun obbligo di seguire il parere espresso del comitato, ma rappresenterebbe una eccezione, l’andar contro questa votazione.


L’opzione terapeutica con l’AMX0035 di Amylyx è stata “proposta” sulla base di un singolo Studio di fase 2/3 chiamato Centaur che vedeva arruolati 137 pazienti e da un “open label extension Study” ossia l’estensione di uno Studio “in aperto” in cui i pazienti che partecipano ad uno studio in doppio cieco controllato con placebo ed un nuovo farmaco, sono invitati, al completamento dello studio iniziale, ad assumere il farmaco in studio per un ulteriore periodo. Lo studio in questione aveva dimostrato un rallentamento della progressione della malattia nei pazienti colpiti dalla SLA (https://www.fiercebiotech.com/biotech/amylyx-s-neuron-protecting-drug-slows-als-decline-late-phase-study).


Purtroppo, stando ai documenti informativi rilasciati dalla FDA prima della riunione consultiva di Marzo il singolo Studio Centaur "non è stato considerato del tutto convincente”(https://www.fiercebiotech.com/biotech/amylyx-faces-down-fda-advisory-panel-over-single-study-als-drug) nonostante la Amylyx Pharmaceuticals stesse già conducendo uno studio di fase 3 chiamato Phoenix. Insomma, per farla breve, si sperava  in un'approvazione “in via accelerata” del farmaco. 

Destino vuole che “mala tempora currunt” per i provvedimenti di approvazione accelerati, soprattutto da quando, nell’ultimo anno, sono finiti sotto i riflettori grazie a quello concesso dall’FDA al controverso farmaco per il morbo di Alzheimer di Biogen, Aduhelm. Ne ho parlato qui : https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/04/aducanumab-della-serie-metterci-una.html.


Ovviamente la Amylyx, si è immediatamente rimboccata le maniche per presentare nuovi dati a supporto ed a quanto sembra, queste nuove evidenze sono state considerate importanti e significative tanto che il Comitato di revisione dell’FDA ha chiesto più tempo per poter esaminare tutto il materiale che sarebbe necessario per concedere all’AMX0035 l’indicazione per il trattamento della SLA. Ed ecco quindi spiegato il perché ogni ulteriore decisione al riguarda sarà presa entro il 29 settembre 2022.


Secondo indiscrezioni di settore, l’FDA sarebbe molto propensa a concedere l’approvazione per via emergenziale, dal momento che l’AMX0035, allo stato attuale, rappresenterebbe un importante vantaggio per pazienti in cui la malattia progredisce senza che sia disponibile una terapia significativamente efficace.


domenica 3 luglio 2022

FDA ED IL SUO PIANO QUINQUENNALE PER I FARMACI CONTRO LE MALATTIE NEURODEGENERATIVE



Dopo aver introdotto l’argomento delle malattie rare e dei “farmaci orfani” qui: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/06/malattie-rare-farmaci-orfani-e-rare-x.html, risulta chiaro come il sole che ci si trovi dinnanzi ad un urgente bisogno di sapere come migliorare ed al contempo aumentare l’aspettativa di vita di tutti quei pazienti affetti da malattie neurodegenerative rare, per cui nulla da stupirsi se la FDA, grazie a questo progetto quinquennale (https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-releases-action-plan-rare-neurodegenerative-diseases-including-als), che volge indubbiamente un occhio di riguardo nei confronti della SLA (https://www.fda.gov/news-events/public-health-focus/accelerating-access-critical-therapies-als-act-act-als), si propone l’obiettivo di accelerare lo sviluppo per la ricerca di farmaci innovativi.


Una partnership pubblico-privato che avrà come perno centrale di questo ampio progetto, una nuova task force sotto guida FDA. In tal modo sarà facilitato, quando possibile, l’accesso a nuovi farmaci da parte dei pazienti ed il reclutamento di una selezionata popolazione di candidati per le sperimentazioni cliniche sarà favorito dall’implementazione di nuove tecnologie digitalizzate strategicamente decentralizzate. Non ultimo, si cercherà di sviluppare strategie di sperimentazione clinica capaci di individuare precocemente terapie promettenti, semplificando i passaggi per arrivare sia ad una riduzione dei tempi sia dei costi necessari allo sviluppo dei farmaci.


Oltre a tutto ciò, per la SLA, un disturbo progressivo devastante che colpisce il sistema nervoso causando progressivamente la perdita del controllo muscolare, l’ FDA ha messo a punto un piano più specifico (FDA’s Action Plan for Rare Neurodegenerative Diseases including Amyotrophic Lateral Sclerosis), con l’obiettivo di individuare nuovi modi per monitorare e seguire la progressione della malattia, scoprire nuovi biomarcatori ed incrementare i risultati promossi dalla ricerca scientifica di base (https://www.fda.gov/news-events/public-health-focus/accelerating-access-critical-therapies-als-act-act-als).


Questo nuovo piano strategico rientra in quello che viene definito Acceleration Access to Critical Therapies for ALS Act, o ACT for ALS, che è stato convertito in legge dal presidente Joe Biden nel dicembre 2021 (FDA’s Action Plan for Rare Neurodegenerative Diseases including Amyotrophic Lateral Sclerosis). Comprende disposizioni affinché il Dipartimento della salute e dei servizi umani istituisca un partnership privata per lo studio, monitoraggio e cura delle malattie neurodegenerative tra il NIH (National Institutes of Health), l’ FDA ed uno o più enti esterni, oltre ad una direttiva per assegnare sovvenzioni e contratti a enti pubblici e privati destinati alla ricerca ed allo sviluppo di nuove conoscenze per il trattamento della SLA e di molte altre malattie rare neurodegenerative. Questo programma di sovvenzioni sarà amministrato dall'Office of Orphan Products Development.


Nel prossimo post, andremo sul concreto e vedremo come l’FDA si sia presa un po' più di tempo, rispetto la data originale di fine Giugno 2022, per valutare se la molecola AMX0035 di Amylyx  possa ricevere l’approvazione per il trattamento della SLA. L'agenzia comunicherà la decisione entro il 29 settembre 2022.

 


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