L’aver prospettato aiuti ed incentivi per lo sviluppo di nuovi farmaci indispensabili per la cura di patologie rare ha consentito di raggiungere nuove frontiere in ambito terapeutico anche se a volte ho il sospetto che questi incentivi assomiglino sempre di più alla classica carota. Quante volte infatti abbiamo letto o ascoltato che i prezzi di questi farmaci stanno diventando sempre meno sostenibili per i sistemi sanitari che devono garantire a tutti equamente l’accesso a cure efficaci? Questa osservazione reggerebbe nella misura in cui il servizio sanitario si trasformasse in sistema sanitario - la differenza dovrebbe essere evidente ma googolando la si trova facilmente - e si conferisse al sistema in quanto pubblico, un valore sociale. Tradotto, mi riferisco all’Italia, regolamentata per quanto riguarda il “diritto alla salute” da un servizio sanitario, non già da un sistema sanitario, ossia da un modello sanitario in cui lo Stato si occupa (integralmente o in parte) di gestire e regolamentare gli aspetti della sanità. E qui, purtroppo casca l’asino, dal momento che il nostro diritto alla salute esiste in funzione di un budget che è stabilito per soddisfarlo finito il quale, finito il diritto. C’è qualcuno che non è d’accodo? Sul serio? Ok che la memoria può essere molto molto corta, ma dovremmo aver imparato molto bene che cosa sia accaduto al Nostro budget negli ultimi 30 anni!!!
Bene, fatta questa debita premessa, non volendo tediare nessuno con questioni più politiche che scientifiche ( ma con cui purtroppo dobbiamo fare i conti ogni santo giorno) ecco una prima sbirciatina su questo mondo che esiste, eccome se esiste, ma che pare sempre aleggiare al di sopra delle nostre teste. A questa sbirciatina seguirà subito dopo un resoconto più “concreto” sul piano d’azione quinquennale che l’FDA ha in serbo per i farmaci che agiscono sui disturbi neuro-degenerativi, con una particolare attenzione per la SLA (amyotrophic lateral sclerosis).
Chissà in quanti conoscono RARE-X e che ruolo giochi nell’ambito delle malattie rare. RARE-X è una organizzazione senza scopo di lucro che si dedica alla raccolta, strutturazione e condivisione di dati critici dei pazienti su larga scala, per aiutare ad accelerare la diagnosi, la comprensione delle malattie rare e lo sviluppo di trattamenti e cure future.
Ed ora sostiene a gran voce che la questione di quante malattie rare esistano non sia una semplice curiosità numerica, ma che al contrario abbia una forte implicazioni nel mondo reale dal momento che questo numero impatta fortemente su come queste patologie possano essere curate. Abbiamo sottovalutato le malattie rare? Questa è la domanda che si è posta l’organizzazione, ed a cui è seguita la relativa risposta attraverso la pubblicazione del rapporto “Power of Being Counted” (https://rare-x.org/case-studies/the-power-of-being-counted/) che rivela numeri precedentemente e gravemente sottostimati ma che per decenni sono stati utilizzati per definire le malattie rare e per influenzare molte decisioni politiche che bene o male, ma personalmente lascerei solo “nel male”, hanno impattato sulla ricerca biomedica. Questo rapporto ha messo in luce malattie rare che in precedenza non erano mai state contate, riconosciute e che quindi, hanno “volato” talmente basso da sfuggire a qualsiasi radar a disposizione di ogni team di ricerca clinica.
Generalmente i rapporti sulle malattie rare provengono da due fonti. Più precisamente il National Institutes of Health, stima che ci siano circa 7.000 malattie rare conosciute, mentre la Commissione Europea fa riferimento ad un intervallo compreso tra 5.000 e 8.000 patologie.
Purtroppo queste stime sono sempre le stesse ed utilizzate da anni, il che significa che, anche se inizialmente accurate, mancano del tutto alla conta le centinaia di malattie genetiche che si sono aggiunte ogni anno grazie all’allargamento delle conoscenze acquisite dalla scienza medica nel suo complesso.
Per questo motivo RARE-X è andata a mettere il naso nei due principali database internazionali, Orphanet e Online Mendelian Inheritance in Man, con la speranza di ottenere una cifra precisa e aggiornata. Speranza che non fu vana dal momento che, dopo aver incrociato i dati dei due database, si è giunti ad un nuovo numero: 10.867. Spero sinceramente che questo dato indubbiamente impressionante renda a sufficienza l’idea delle implicazioni che si porta appresso.
L'ottanta per cento delle malattie rare è diagnosticabile. Teoricamente!!! Perché già evidenziate a carico di uno dei genitori o perché classificate in diversi sottotipi e caratterizzate da tre o più fenotipi (le manifestazioni cliniche/sintomatologiche con cui si esprime il genotipo della malattie). Il restante 20% è poco definito, il che significa che non include più di due fenotipi. Più della metà delle malattie mal definite non ha una causa genetica nota ed 1/3 sono malattie non genetiche.
Plausibile comunque che la discrepanza tra la cifra dedotta dall’analisi di RARE-X rispetto alle stime di cui sopra sia da addebitarsi probabilmente alla decisione di enumerare i vari sottotipi delle malattie rare come se si trattasse di condizioni separate e ben distinte. Tanto per fare un esempio che risulti chiaro a chiunque, la malattia di Batten riferita e numerata dalle due fonti fin qui utilizzate, è considerata alla stregua di un’unica condizione, mentre l'analisi RARE-X inserisce come condizioni a se stanti anche i 6 sottotipi in cui la malattia è stata suddivisa.
Nonostante si legga o si ascolti qua e là ancora la farneticazione espressa da qualcuno talmente sveglio nonché molto informato che ha capito tutto, ma proprio tutto tutto eh, per cui i farmaci per le malattie rare rappresentano una miniera d'oro per le aziende farmaceutiche (tanto da essere definiti “orfani”…così…”ad minchiam” vero? Ed indipendentemente dall’essere approvati o meno), a beneficio, tutto sommato, di un numero ristretto di persone, per cui “vade retro” perché, dato il prezzo, potrebbero abbassare il budget ( si, proprio quel budget di prima), dobbiamo fare i conti anche con un’ altra nota dolente. Non per infierire sia inteso, ma trattasi di quegli stessi individui che pensano che per sviluppare un farmaco bastino qualche manciata di milioni e che le approvazioni degli enti regolatori non contino una mazza, perché i ricercatori fanno male i trials o non fanno quelli esatti.
E la nota dolente è data dal fatto che, secondo il rapporto di Global Data che ha passato al setaccio più di 700 studi clinici sulle malattie rare, più di un quarto degli studi è stato interrotto e cancellato tra il 2016 e il 2020 a causa della bassa percentuale di pazienti reclutabili a causa della precarietà delle condizioni richieste per rendere i pazienti arruolabili. Inoltre, come se non bastasse, dal rapporto è emerso anche che il 12%, il 6% ed un ulteriore 6% degli studi è stato mandato a gambe all’aria rispettivamente a causa della mancanza di efficacia, delle decisioni aziendali e strategiche e del mancato sviluppo del farmaco.
Esiste una soluzione che risolva, almeno in parte, il problema del reclutamento? La pandemia ha favorito, indirettamente, lo sviluppo di nuovi modelli di trial sempre più basati su interazioni virtuali tra i medici e i loro assistiti, per garantire la continuità delle cure pur mantenendo il distanziamento. Si sono acquisite nuove tecnologie informatiche che hanno così permesso il diffondersi delle DCT o sperimentazioni cliniche decentralizzate. Quindi questa è la via da seguire, senza se e senza ma. Ricordiamoci che il 95% di queste condizioni cliniche non ha un trattamento approvato dalla FDA, il che si traduce in un significativo e “disperato” bisogno insoddisfatto per questi pazienti.
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