Dal momento che l’ho spoilerato nella prima parte, mi sembra il caso di procedere, così… pim! pum! pam!…con la descrizione di questi prossimi candidati antivirali non prima però di rimarcare una personale frustrazione che è la risultante di tutta una lunga serie di esternazioni partorite da una ipocrisia sempre più dilagante e che hanno come massimo target “l’Acchiappa Like dell’anno”. Dopo aver letto in anni passati che fosse necessario raggiungere una copertura vaccinale del 95% con la vaccinazione antitetanica, onde perseguire l’obiettivo dell’immunità di Gregge (ebbene si, avete letto bene, immunità di gregge nei confronti del tetano) pensavo di aver raggiunto l’acme dell’inaccettabile. Ma mi sono presto reso conto in questi due anni di pandemia che non c’è limite al peggio. Per cui c’è chi, anche in questi giorni di “apparente” tranquillità, in cui la maggior parte delle posizioni estremiste, vanno stemperandosi, la butta giù ancora pesante, del tipo, “Quanto casino per per questo coronavirus - singolare indistinto, omogeneo ed univoco - in fondo il coronavirus causa da secoli il comune raffreddore e di cure ne tanto meno vaccini per il raffreddore, non se ne è mai sentito parlare”. Ormai, penso di aver sviluppato una sorta di immunità naturale, nei confronti di questo modo di argomentare che implica una capacità di elaborazione tipiche del sistema di numerazione binario, dove più di 0 ed 1 non abbiamo con conseguente limitata cassetta per gli “attrezzi” a cui poter attingere. Per cui, meglio passar oltre, dal momento che verrei capito “al volo”, da chi queste pagine, in ogni caso, non le leggerà mai.
Ma ritorniamo all’argomento di questo secondo post, e per farlo, non posso fare a meno di iniziare con quanto dichiarato da Sara Cherry, professoressa di patologia e medicina di laboratorio presso la Perelman School of Medicine dell'Università della Pennsylvania: ”Se non si riesce a mantenere le dosi che ci si è prefissato di impiegare, la possibilità che si selezionino resistenze al virus, non sono poi così remote, dal momento che i trattamenti non completati possono accelerare la comparsa di resistenze nei confronti dei farmaci utilizzati, consentendo così al SARS-CoV-2 di sviluppare adeguate contromisure di difesa” - come è noto, già in passato la resistenza verso alcuni farmaci ha reso inefficaci alcune molecole anti-influenzali ed ora la stessa cosa, potrebbe accadere anche con gli antivirali COVID-19 - “Questo è dunque il motivo principale per cui sarebbe auspicabile avere a disposizione una vasta gamma di antivirali, perché in tal caso, sarebbe molto più complicato per il virus sviluppare resistenza. La speranza è quindi che gli antivirali COVID-19 migliorino continuamente, esattamente come accaduto per i farmaci anti epatite C e HIV”.
A proposito di epatite C, proprio per raccontarla dall’inizio, ossia nei primi tempi della pandemia, Enanta Pharmaceuticals, ha setacciato la sua libreria di composti con la speranza di ritrovarsi per le mani qualche cosa di utile per contrastare la Covid, sotto forma di farmaco antivirale mirato. Dal momento che a differenza di Pfizer, l'azienda non aveva esperienza di studi clinici con i coronavirus, non è emerso nulla.
Beh, “male non fare ricordare” come agiscono gli antivirali di Pfizer e Merck & Co. Paxlovid inibisce la proteasi 3CL, ossia la principale proteasi di SARS-CoV-2, mentre Molnupiravir inganna la sua Rna polimerasi facendole incorporare parte del farmaco nell'Rna del virus e creando così tanti errori da non poterne assicurare la sopravvivenza.
Tuttavia Enanta, pur non avendo familiarità con i coronavirus, possedeva un buon know-out per gli inibitori della proteasi HCV e così per finanziare il proprio progetto di realizzare un nuovo antivirale anti covid di 2°generazione, ha completamente dato fondo ai proventi derivanti dal proprio farmaco per l'epatite C, un prodotto di nuova generazione che l'azienda aveva concesso in licenza ad AbbVie ( https://www.pharmastar.it/news//ema/epatite-c-depositata-all-ema-la-domanda-di-registrazione-per-la-tripletta-di-abbvie-14817).
Ed eccoci qui a raccontare la storia del nuovo candidato antivirale EDP-235. Sebbene dovranno essere i dati risultanti dagli studi clinici, in primis lo studio di Fase 1, con end-point la sicurezza, avviato a Febbraio, a decretarne la “bontà” (Enanta Pharmaceuticals prevede di averli a disposizione per il secondo trimestre di quest’anno), EDP-235 prende di mira la proteasi 3CL del virus, ovvero la stessa bersaglio target di Paxlovid, con il vantaggio di avere uno schema posologico che si basa su di un’unica assunzione giornaliera. Cosa assolutamente non di poco conto, dal momento che, migliorando nettamente la compliance si diminuisce contestualmente la possibilità di incorrere in trattamenti non completati che, come già ho scritto, potrebbero innescare resistenza antivirale. Al netto delle dichiarazioni dell’Azienda, ci potremmo trovare quindi di fronte ad uno tra i più potenti antivirali ad azione diretta in fase di sviluppo per l'infezione da SARS-CoV-2 con spiccata attività anche contro le possibili varianti Omicron dipendenti.
E sullo stesso treno, ossia gli inibitori della proteasi 3CL, pare sia salito anche l’S-217622 della giapponese Shionogi. Questa molecola è entrata a far parte di uno studio multicentrico di fase 3 denominato SCORPIO-HR, per valutarne l’efficacia e la sicurezza in soggetti SARS-CoV-2 positivi che, in un contesto ambulatoriale, hanno iniziato a manifestare sintomi entro cinque giorni dall’arruolamento presentando 1 o + fattori di rischio per una possibile evoluzione verso la malattia grave.
Stando al rapporto Leerink (SVB Leerink è una banca d'investimento leader, specializzata in sanità e tecnologia) i vantaggi rispetto agli attuali antivirali sarebbero da ricercarsi in una maggiore attività sui pazienti più fragili esposti alla sotto-variante Omicron attualmente circolante e, come per EDP-235, in una migliore compliance, dal momento che si tratta di una mono somministrazione orale che non necessita di alcun tipo di “potenziamento” (leggi ritonavir di Paxlovid).
Quanto invece a PBI-0451, Pardes Biosciences, ha previsto di iniziare uno studio di fase 2/3 a metà del 2022 di questa nuova classe di inibitori antivirali ad azione diretta (DAA) della proteasi principale (Mpro) da assumersi oralmente. Per chi ne volesse sapere di più segnalo questo link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2001037022000848.
A differenza delle precedenti Aziende impegnate in questa affannosa rincorsa, la Model Medicines, ha invece concentrato l’intero focus della ricerca su composti che, originariamente, non erano mai stati concepiti per contrastare alcun tipo di malattie infettive. Per chi non lo sapesse, parlare di Model Medicines equivale a descrivere una società di intelligenza artificiale e apprendimento automatico Drug Discovery in grado di ridurre il tempo necessario per immettere un farmaco sul mercato di oltre 10 anni risparmiando sui costi all’incirca 1 miliardo di $ se non di più. Grazie a tutto questo “ambaradan” si è giunti allo sviluppo del prototipo MDL-001.
Secondo il CEO di Model Medicines, Daniel Haders, questo composto aveva superato positivamente lo studio di Fase 1 relativo alla sicurezza, per una indicazione mai rivelata ma che a seguito del sopravvenire di un repentino cambio di priorità, venne abbandonato dal produttore originario.
“Volevamo un antivirale che potenzialmente fosse così sicuro e ben tollerato da poter essere impiegato su qualsiasi tipologia di paziente indipendentemente dalla variante, dal sesso, dall'età e dalle comorbidità”. L’alone di mistero tuttavia rimane, dal momento che, a parte rivelare l’impiego orale monodose, l'azienda si rifiuta di descrivere il meccanismo d'azione.
Nonostante ciò, MDL-001 è stato reclutato nel programma per lo sviluppo di nuovi trattamenti antivirali del National Institute of Health (NIH) sulla base di precise rassicurazioni. Per chi fosse interessato alle “pezze giustificative”, questo che segue è l’elenco: dati pre-clinici che dimostrano di aver soddisfatto l’end-point per la protezione dai sintomi causati dal Sars-CoV-2, un ulteriore significativo pacchetto di dati che confermano la riduzione della carica virale a livello polmonare in aggiunta a dati clinici relativi alla sicurezza ed alla tollerabilità che si vanno a sommare ad ulteriori dati sull'efficacia in vivo e dati di farmacocinetica preclinica.
Inutile rimarcare che i dati prevedono comprensione ed elaborazione, altrimenti sarebbero solo numeri. E la Model Medicines, ha i dati.
Purtroppo, come anticipato nel primo post, testare gli antivirali di prossima generazione, sta diventando sempre più un’impresa complicata. Il pool di papabili arruolabili negli studi clinici si riduce man mano che sempre più persone vengono vaccinate o assumono antivirali. Per far fronte a questo genere di handicap molte aziende chimico-farmaceutiche produttrici di antivirali hanno “dirottato”gli studi clinici in Paesi in cui la campagna vaccinale non è così avanzata, un copione già visto, dal momento che già utilizzato anche dalle Aziende produttori di vaccini. Insomma… nihil sub sole novum.
Nulla osta che, come confermato dal rapporto Leerink, sia pure alzando, e non di poco, l’asticella, alla fine anziché’ condurre studi controllati nei confronti del solo placebo, le Autorità di Regolamentazione potranno confrontare un candidato antivirale con uno già precedentemente autorizzato.
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