Con un virus respiratorio come il Sars-Cov-2 è davvero molto azzardato proporre previsioni senza correre il rischio di prendere fischi per fiaschi. E proporre previsioni, di questi tempi, è tutt’altro che “salutare”, dal momento che una previsione sballata può influenzare una decisione politica, che a sua volta avrà un costo che alla fine qualcuno dovrà pagare. In compenso sono ancora molte le domande che aleggiano, ma con già belli e pronti gli alibi nel caso qualcuno si avventurasse in qualche tipo di risposta. E la lista è già parecchio nutrita. (Del resto è ormai arcinoto come sia un po’ come sparare sulla Croce Rossa tirare in ballo l’assunto che la ricerca scientifica, proponendo come è ovvio che sia una pluralità di opzioni non possa garantire alcuna inconfutabile certezza). Il virus diventerà endemico? Emergeranno nuove varianti? (di Xe, anche se nel caso sarebbe più corretto parlare di “ricombinanti”) ne parleremo quando ci saranno più dati su cui ragionare).
Qualunque sia la risposta, quel che è certo è che il “mercato” degli antivirali, per i prossimi anni a venire, non conoscerà empasse di sorta, dal momento che sarà fondamentale “drizzare le antenne” nel caso emergessero non impossibili resistenze verso gli attuali antivirali e per essere proattivi nello sviluppare nuove molecole mirate a seconda dello scenario che si potrebbe prospettare.
Ho diffusamente trattato di Paxlovid e Lagevrio di Pfizer e di Merck qui: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/01/il-dietro-alle-quinte-che-ha-condotto.html , https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/12/tra-usa-ed-italia-regali-di-natale.html, https://ilgeneegoista.blogspot.com/2021/11/molnupiravir-lagevrio-di-merck-e.html e da quando sono in commercio sappiamo che se da un lato Paxlovid può avere interazione con alcuni farmaci di comune prescrizione (https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/therapies/antiviral-therapy/ritonavir-boosted-nirmatrelvir--paxlovid-/), molnupiravir invece sembra dimostrare una efficacia moderata mentre sono al vaglio possibili rischi legati all’attività riproduttiva (https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/therapies/antiviral-therapy/molnupiravir/). Tanto è vero che, “Indiscrezioni” non ancora ufficialmente confermate, ma non smentite, riportano che nell’evoluzione del prossimo antivirale di Pfizer, non sarebbe incluso il ritonavir in associazione al nirmatrelvir in quanto ritenuto la possibile causa della deleteria interazione con altri farmaci. In ogni caso ne sapremo di più quando saranno noti i risultati degli studi sull’uomo, attese per la seconda metà di quest’anno.
Ovviamente la speranza è che qualche cosina si sia imparato dagli errori del passato e che quelli che sono a tutti gli effetti gli acquirenti principali, leggi i Sistemi Sanitari, ora considerino questa classe di farmaci come una priorità per la lotta alla Covid. Anche se, come vedremo nella terza parte, per quanto riguarda almeno l’Italia, la burocrazia continua ahinoi a segnare punti a proprio vantaggio (superfluo rimarcare chi sarebbero gli svantaggiati). In ogni caso sia Pfizer quanto Merck & Co. hanno già nelle loro pipeline molecole di follow-on di Paxlovid e Molnupiravir, ma la concorrenza è agguerrita e diverse aziende stanno cercando di sviluppare antivirali anti Covid-19 migliori di quelli attualmente disponibili. Enanta Pharmaceuticals rientra appunto nel novero e lo fa attraverso il proprio CEO, Jay R. Luly, dichiarando: “Abbiamo sempre saputo che non saremmo stati i primi a produrre un antivirale con le caratteristiche che si ricercavano, ma va bene così, perché cercheremo di essere i migliori in futuro.” Ed effettivamente l’azienda con sede nel Massachusetts ha tirato fuori dal cassetto un nuovo antivirale anti SARS-CoV-2 ( EDP-235), attualmente impiegato in uno studio clinica ancora in fase iniziale con la premessa che si tratti di una opzione terapeutica più efficace ed economicamente vantaggiosa, rispetto a quelle attualmente impiegate. Ma occhio, perché come anticipato, Enanta è in buona compagnia, insieme ad altre aziende più “piccole” tra cui Shionogi & Co., Pardes Biosciences e Model Medicines, in quella che si sta prospettando come una vera e propria gara per produrre antivirali anti Covid di nuova generazione. E lo dico chiaro fin da subito, non è solo la smania di profitto, a sponsorizzare questa corsa, giacché già in passato la resistenza verso alcuni farmaci ha reso inefficaci alcune molecole anti-influenzali e lo stesso, per i motivi che analizzeremo in seguito, potrebbe accadere anche con gli antivirali COVID-19.
In una seconda parte, a cui seguirà una terza, dai risvolti sicuramente più politici in cui si esamineranno le varie problematiche legate agli iter distributivi ed alle possibilità di accesso nonostante le somme di denaro investite per l’acquisto, butteremo l’occhio su questi ipotetici nuovi candidati con tutte le dinamiche che si portano appresso, senza mai dimenticare il proverbio che “tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”. Ed è un mare molto “salato” ed agitato a quanto pare, a partire da come stia diventando sempre più complicato testare gli antivirali di prossima generazione (vedremo il perché ma la spiegazione sarà di una ovvietà quasi imbarazzante). Per poi finire con la constatazione, (me ne dispiace per chi è preda di facili entusiasmi), che per arrivare alla commercializzazione di un nuovo farmaco, il know how di cui si dispone non è proprio un dettaglio di poco conto, e concedere di “aprire” a numerose linee di “credito” senza contare su una approfondita conoscenza di tutta la filiera industriale e sull’appoggio di piattaforme capaci di relazionare collaborazioni di settore con produttori intermedi e fornitori di tecnologia, spesso non si rivela una scelta in grado di “pagare”. Non ricordo le volte in cui ho fatto notare che partire da una sintesi di laboratorio per arrivare ad una produzione industriale, ca va sans dir, non è esattamente uno scherzetto da poco.
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