lunedì 9 settembre 2024

TRA METEO, CLIMA, PERE E MELE.

 


Quanti sono i fattori che influenzano il nostro clima? Tanti, direi sin troppi, a tal punto che facciamo una fatica immane per dare un senso alle montagne di dati che “piovono” da ogni parte quali vento, pressione, temperatura solare, temperatura ambientale, livelli di umidità ecc. e che ci hanno “insegnato” come possano influenzare gli andamenti quotidiani alternati tra pioggia e sole di cui possiamo leggere ogni giorno gli effetti.

La maggior parte di questi fattori sono fenomeni a breve termine, altri a lungo termine. I primi determinano il nostro “tempo” meteorologico ( non metereologico, mi raccomando ;-) ), mentre i secondi influenzano il nostro clima. E questa è la differenza essenziale tra “tempo” meteorologico e clima. Ta-Dah!!…è tutta una questione di tempo inteso però come quello che trascorre (sorpresona). Il “tempo” meteorologico è determinato dalle condizioni dell'atmosfera in un breve periodo mentre il clima è determinato dal modo in cui l'atmosfera si comporta in periodi di tempo relativamente lunghi ( ah…la Storia!) in funzione degli spazi. Ecco perché premetto, a mio modo di vedere le cose, che ben anche tutta l’Europa dovesse dissolversi in un sol botto, ciò non si ripercuoterebbe sui livelli di emissioni di CO2 che continuerebbero ad aumentare senza sosta, se cerchiamo di vedere il “panorama” nel suo insieme (e questi sono fatti). Basta dare un’occhiata a questo grafico con relativo commento qui: http://www.blueplanetheart.it/2018/12/si-chiude-un-anno-record-negativi-sara-lanno-verra-livello-emissioni-co2/ per rendersene conto. E’ indubbio quindi che tirare in ballo ogni due per tre le quote di anidride carbonica pro capite assomigli sempre di più ad un discorso pretestuoso sempre più lontano da quelli che dovrebbero essere i veri obiettivi. Quello che mi irrita, e non poco, è che non si tratta di non esserne in grado, ma che non ne abbiamo l’intenzione. Motivi geopolitici e di RESHORING, ossia la decisione di una azienda di riportare la produzione nel proprio paese d'origine, tanto per fare qualche esempio che dovrebbe essere chiaro a tutti. Meglio girarsi dall’altra parte quando è evidente che lo sfruttamento dell’area asiatica e del sud del mondo creati dalla globalizzazione, sono tra i principali motivi dell’aumento di concentrazioni di gas serra negli ultimi 30 anni. Ma parlare di de globalizzazione non è cosa per anime pie, ma da eretici da bruciare sul rogo, evidentemente.

Ma anche questo è un altro discorso, pur costituendo il nocciolo del problema. Chi studia (seriamente) questo argomento sa che ci attendono molti cambiamenti, ma sanno anche che meteo e clima sono fenomeni non lineari e prevedere esattamente come cambierà il nostro tempo man mano che il clima si altera nel lungo periodo è qualcosa di complesso e frustrante.

Determinare se un singolo evento, per quanto dannoso, sia il risultato o meno del cambiamento climatico è quasi impossibile data la mole di altri fattori a breve termine che ne possono influenzare la comparsa.

Anche determinare come sta progredendo il cambiamento climatico è difficile perché sono necessari set di dati a lungo termine per costruire una valutazione accurata.

Resta il fatto che il “tempo” meteorologico può cambiare rapidamente; il clima cambia molto lentamente… Ma dai?! Ed allora spiegatemi che senso avrebbe proporre soluzioni lenitive locali (dissesto idrogeologico, cementificazione del territorio ad esempio (vedasi Emila Romagna), indiscutibili…(ma le infrastrutture da quale “cilindro” usciranno?), se non mera propaganda “casereccia” quando poi si prosegue con cavolate smascherabili anche da uno studente di una qualsiasi scuola di II° grado del tipo che il processo economico globale non si deve discutere vedi, gli accordi di Kyoto e Parigi (inutile sottolineare come si tratti di scelte compiute dall’uomo), partiti come la pole di Leclerc in qualifica ma dovendosi poi confrontare con il gradino più alto del podio di Verstappen in gara.

CLIMA Vs METEO: SPAZZATURA DENTRO, SPAZZATURA FUORI.

 


C’è una informazione funzionale che si deve al solito districare tra l’eterna polarizzazione degli estremi (l’esperienza vissuta con il Covid pare non aver insegnato proprio nulla). E c'è ovviamente una disinformazione ”giusta ed una sbagliata”. Ma santa pace, i dati sono quelli anche se poi abbiamo capito che i dati c’è chi li legge o li cita a seconda della propria convenienza con il “solido” criterio de: questo sì/questo no senza preoccuparsi di far comprendere che una delle sfide più impegnative che la scienza sta affrontando riguarda la comprensione del ruolo del cambiamento climatico rispetto ai modelli meteorologici naturali e alla variabilità climatica a dispetto di una disponibilità limitata di dati osservativi di alta qualità (https://cleantechnica.com/2023/03/11/the-growing-impact-of-attribution-science-in-climate-science/). Confondere le idee tra QUANTITA’ E QUALITA’ è sempre più “sport compulsivo” di cui non poter fare a meno. 

Purtroppo se solo qualcuno si azzarda a precisare o anche criticare il messaggio vessillo dei grandi Media, ecco il fiorire farlocco di post ed articoli su cui costruire le proprie “verità”. Sempre a seconda da quale lato del polo provengano di volta in volta, ovviamente. E gli esempi non mancano, spesso portati avanti da coloro che sostengono di NON confondere il clima con la meteorologia, per poi finire di confondere la meteorologia con il clima. Ma questo è un altro discorso.

Ne cito due a caso, naturalmente, tanto per rimanere in tema, agli antipodi. (I) Rispondendo a Elena Dusi, che gli chiede se ritiene che il caldo di questi giorni sia normale, il meteorologo Sottocorona dichiara: “Non penso che sia normale. Penso che l’auto su cui ci troviamo stia sbandando e occorra intervenire al più presto. Ma non sopporto le esagerazioni”. (https://www.repubblica.it/cronaca/2023/07/18/news/sottocorona_meteorologo_negazionista-408171237/). E, bada ben bada ben, è subito partita la caccia al negazionista. 

(II) James G. Anderson, professore di chimica atmosferica all'Università di Harvard nel 2018 lanciò il messaggio che nei prossimi cinque anni sarebbero stati necessari interventi per ridurre l'inquinamento da carbonio per preservare il ghiaccio artico. L'attivista per il clima Greta Thunberg ha poi condiviso un tweet che citava l’articolo e non le esatte parole pronunciate dal professore (https://web.archive.org/web/20180501150731/https://gritpost.com/humans-extinct-climate-change/). Ed ecco il proliferare di immancabili post sui social media che hanno distorto il tweet della Thunberg per affermare falsamente di aver predetto l'estinzione umana entro il 2023.

Buona scelta a tutti. Da parte mia…untalked about it!

domenica 8 settembre 2024

UN BRICIOLO DI STORIA PER COMPRENDERE IL MOVIMENTO ANTI VACCINO - SECONDA PARTE.

 


PREMESSA: non tutto è no-vax, nel senso più estremista del termine.


Gli storici che si sono occupati dell’evolversi della medicina negli anni, sottolineano come le sacche più radicali di resistenza ai vaccini, si ispirassero sempre a strategie di comunicazione standardizzate ed enfatiche da parte di alcuni personaggi sicuramente dotati di maggior carisma rispetto ala massa, che si adoperavano per convogliare i diversi sentimenti popolari di avversione ai vaccini in un’unica forma di contestazione.

Un esempio di quanto vado scrivendo, si verificò a Montreal, nel 1885, dove, a seguito di una grave epidemia di vaiolo, il Consiglio Comunale della città, rese obbligatoria la vaccinazione, incontrando una forte resistenza, specialmente da parte della popolazione francofona, che sbandierava un “libretto” dai toni fortemente polemici (https://hdl.handle.net/2027/aeu.ark:/13960/t7wm29713 pag. 5-8), scritto dal Dr. Alexander M. Ross, leader di un movimento contro la vaccinazione anti-vaiolosa e che per accrescere la propria autorevolezza e popolarità non esitò ad auto incensarsi come il solo medico in grado di contrastare e mettere in dubbio, l’efficacia della vaccinazione. Salvo susseguentemente essere clamorosamente smentito nei fatti dalle Autorità che rinveniranno sul suo corpo i segni della  vaccinazione.

Ad ogni buon conto, questo “libretto”, è ritenuto  dagli storici della medicina, un valido esempio di contenuti cavillosi quanto ingannevoli, che tendono ad essere utilizzati e ripetuti negli anni (https://theconversation.com/covid-19-anti-vaxxers-use-the-same-arguments-from-135-years-ago-145592), dagli ambienti contrari ai vaccini e che si possono riassumere nei seguenti punti:

Minimizzare il rischio di una malattia.

Affermare che il vaccino causi la malattie, o sia inefficace o peggio, entrambe le cose.

Dichiarare che la vaccinazione rientra nei piani di una cospirazione più ampia.

Citare autorità “alternative” che possano legittimare le tesi sostenute.

Su quest’ultimo punto è utile qualche delucidazione. il movimento anti-vaccino, più radicale ha una lunga tradizione nel conferire il titolo di "esperti" a coloro che sostengono quel genere di tesi e peggio ancora, nell’estrapolare al di fuori del reale contesto, frasi di terzi. Durante il 19° secolo, i dibattiti sulla vaccinazione hanno spesso visto il contributo di una ristretta cerchia di medici che denigravano la vaccinazione, definendola una pratica "sporca" e "cattiva" (https://www.cambridge.org/core/journals/medical-history/article/politics-of-prevention-antivaccinationism-and-public-health-in-nineteenthcentury-england/160A0FE00C0D60AC0AF87DCC3D444523), sebbene le loro argomentazioni fossero costantemente confutate da evidenze incontrovertibili prodotte a confutazione dalla Comunità Scientifica Internazionale anche se nell'era moderna dei media e delle piattaforme digitali, le strategie di disinformazione si fossero evolute ed ampliate. (https://www.academia.edu/40375658/Evidence_based_strategies_to_combat_scientific_misinformation).

Ne costituisce un esempio pratico il caso dell'ex medico ormai screditato, Andrew Wakefield, postosi a capo del moderno movimento anti-vaccinista che pubblicò uno studio successivamente definito “fraudolento” che collegava il vaccino MMR (morbillo, parotite, rosolia) all'autismo. ( https://www.bmj.com/content/342/bmj.c7452 ).

Ora, se ci catapultiamo, nella realtà attuale, cosa riferiscono i medici addetti alle vaccinazioni anti-Covid? Riferiscono che molto spesso si imbattono in persone “riluttanti” alla vaccinazione, ma semplicemente indecisi, perché frastornate da messaggi comunicazioni spesso discordanti, informazioni scientifiche spesso approssimative ( vedi testate giornalistiche ed interessi politici ) e da decisioni politiche francamente discutibili. Si tratta di persone che legittimamente nutrono qualche dubbio, specifico e ben definito, e che sono alla ricerca di una risposta esaustiva, credibile e coerente e non sicuramente annoverabili tra i gruppi più radicali e compatti degli ambienti “no-vax”.

Un esempio? Nel periodo in cui non esisteva ancora alcun vaccino contro il Sars-Cov-2, il Dr Paul Allan Offit, direttore del Centro di vaccinazione dell’ospedale pediatrico di Philadelphia, intervistato sul tema vaccini dichiarava: “ Se mi chiedeste ora se io sia disposto a fare un vaccino anti COVID-19, la mia risposta sarebbe “no finché non avrò visto i dati “. ( https://www.theguardian.com/society/2020/aug/30/how-the-race-for-a-covid-19-vaccine-got-dirty ).

Secondo Bernice Hausman, capo del Dipartimento di scienze sociali al Penn State College of Medicine in Pennsylvania, e autrice del recente libro ” Anti/Vax: Reframing the Vaccination Controversy “ uno dei motivi importanti per considerare nel  modo più appropriato e completo possibile, lo scetticismo di molte persone – non necessariamente no vax – quando si parla di vaccino, è capire che quasi sempre a fomentare quell’esitazione non è un problema solo di informazione bensì di mancanza di fiducia. 

Come chiarisce la stessa Hausman: “mentre la gran parte degli esperti in sanità pubblica e scienziati, si concentra nello spiegare alla popolazione i benefici generali derivanti dall’impiego dei vaccini, le persone non valutano un eventuale problema derivato dal vaccino a livello di popolazione, bensì lo valutano sulla propria persona. Per questo motivo è importante comprendere le ragioni profonde e specifiche alla base delle singole preoccupazioni”. (https://www.theguardian.com/society/2021/jan/26/could-understanding-the-history-of-anti-vaccine-sentiment-help-us-to-overcome-it).

Ed ancora, nel suo libro intitolato “Stuck: How Vaccine Rumors Start ― and Why They Don't Go Away”, l’antropologa americana Heidi Larson, coordinatrice del progetto per contrastare la disinformazione circa i vaccini denominato Vaccine Confidence Project, sostiene che “il successo di una campagna vaccinale è in larga parte fondato sulla solidità di un contratto sociale tra le persone. Un contratto sociale troppo spesso dato per scontato, in cui vaccinarsi sarebbe un atto banale come lavarsi il viso ogni mattina. Non è così! Perché l’adempimento di quel contratto è oggi minato dalla realtà in essere di un contesto più ampio in cui prevalgono sentimenti di anti-globalizzazione, nazionalismo e populismo”. La stessa Larson, continua poi, in una intervista a ribadire come “il cercare una cooperazione ed un dialogo siano ovviamente auspicabili, ma farlo contando solo sulla comunicazione corretta dei fatti non sia sufficiente. I dati che dimostrano la validità e l’efficacia dei vaccini sono innumerevoli, ciò nonostante le informazioni sulla rete ed attraverso altri canali mediatici, si mescolano senza alcun criterio distintivo a elenchi più o meno dettagliati di rischi reali o percepiti, varia aneddotica ed esperienze personali o riferite”.

Citando l’epidemiologo australiano Stephen Leeder, sempre la Larson conclude dicendo: “I fatti non vengono rifiutati perché sono considerati sbagliati, ma perché sono ritenuti irrilevanti. Per questo motivo occorrerebbe privilegiare più le storie personali che le statistiche”. (https://www.newscientist.com/article/mg24833090-300-vaccine-misinformation-can-be-fatal-how-can-we-counter-it/).

Ovviamente c’è anche chi, come il giornalista britannico Toby Young, nell’articolo https://www.spectator.co.uk/article/The-dangers-of-censoring-anti-vaxxers, sostiene la tesi opposta, ossia che appellarsi ai sentimenti ed alle emozioni avvalendosi di aneddoti per rassicurare le persone che hanno riserve sul vaccino sia un’operazione controproducente.

Tutto questo comunque, mi allontana dal presupposto con cui ho iniziato a scrivere il post, e per il quale mi auguro di essere stato il più obiettivo possibile.

UN BRICIOLO DI STORIA PER COMPRENDERE IL MOVIMENTO ANTI VACCINO - PRIMA PARTE.

 


PREMESSA: non tutto è no-vax, nel senso più estremista del termine.


Scrivo questo inevitabilmente lungo, dato l’argomento, post - diviso in due parti - , non per essere “politicamente corretto”, quanto per dimostrare, attraverso fatti storici, quindi accaduti, che non vi è nulla di nuovo in quanto assistiamo oggi come contestazione, a volte anche estrema, alla validità ed efficienza sia dei più recenti vaccini anti-Covid sia dei vaccini in senso lato, senza però con questo cadere nell’errore di voler ” fare di tutta l’erba un fascio”.  Sin dalla fine del 1800 si possono rinvenire raffigurazioni in cui serpenti definiti “vaccination”, piuttosto che non vari scheletri, inseguivano giovani donne con in braccio il proprio figlio - vedi immagine del post.

Ciò dimostra che i movimenti in contrasto con le vaccinazioni, abbiano origini lontane nel tempo. 

Resto, come premesso, convinto che, una personale, sia pur modesta, analisi storica possa, delineare come un sentimento spontaneo di gruppi contrari ai vaccini, non necessariamente debba sfociare in un radicale movimento che, sinteticamente, viene dai più etichettato come “no-vax”, ghettizzando l’informazione senza tener in considerazione le considerazioni motivazionali e storiche che ne sono all’origine. E tutto questo con il fine di ricercare un dialogo, piuttosto che un inutile muro contro muro, per rinvigorire o migliorare un processo di comunicazione ormai sovrastato da frange più estreme. 

Torniamo quindi indietro nel tempo, a quando Edward Jenner, considerato il padre del vaccino contro il vaiolo, si accorse che le donne che mungevano le mucche, spesso contraevano dalle stesse una malattia lieve, chiamata cow pox, ossia vaiolo vaccino, caratterizzato da croste sulle mammelle delle vacche e che le rendeva immuni al vaiolo umano ben più clinicamente grave e pericoloso. Nel 1796 Edward Jenner prelevò del materiale contagiato e purulento dalle bolle provocate dal vaiolo vaccino di una mungitrice e lo inoculò in un bambino di otto anni di nome James. Il bambino non si ammalò gravemente e se la cavò con una piccola cicatrice sulla pelle ed un po’ di febbre. Trascorsi alcuni mesi, il Dr Jenner inoculò nel bambino il vaiolo umano, senza che questi manifestasse segni di malattia. Fu questa la prima risposta immunitaria attiva contro il vaiolo. Inutile dire che tutte le implicazioni che seguirono questa intuizione raccolsero pubblicamente molte critiche la cui logica spaziava dalle obiezioni sanitarie e religiose sino a quelle più rigorosamente scientifiche o politiche, tanto che molte persone si opposero decisamente perché credevano che tutto ciò  potesse condurre ad una violazione della loro libertà personale, opinione che si diffuse ancor di più quando, successivamente, il governo adottò progressivamente politiche di vaccinazione obbligatoria.

Una legge promulgata nel 1853 stabilì la vaccinazione obbligatoria per i bambini fino a 3 mesi di età ed una successiva legge del 1867 estese quest’obbligo ai 14 anni aggiungendo sanzioni per il rifiuto del vaccino. Fu così che come risposta alle decisioni del governo cominciarono a circolare diverse pubblicazioni periodiche contrarie ai vaccini ( https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1123944/  ) e si formarono i primi due movimenti anti-vaccino, ossia la Anti Vaccination League e la Anti-Compulsory Vaccination League. 

La città di Leicester divenne presto un covo di attivisti anti-vaccino e sede di molte proteste e la dimostrazione di Leicester del marzo del 1885 rappresentò una delle più famose manifestazioni anti-vaccinazione con oltre 80.000-100.000 partecipanti.

Tutte queste manifestazioni nonché l'opposizione che giungeva da più parti verso i vaccini portano allo istituzione di una commissione con lo scopo di studiare i benefici della vaccinazione. Nel 1896 la commissione stabilì che la vaccinazione proteggeva dal vaiolo, ma suggerì di rimuovere le sanzioni per la mancata vaccinazione. Quello che viene tutt’ora definito Vaccination Act del 1898 rimosse le sanzioni ed incluse una clausola definita di “obiezione di coscienza", in modo tale che i genitori che non credevano nella sicurezza o nell'efficacia della vaccinazione potessero ottenere un certificato di esenzione. ( https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1123944/ ).

Contestualmente, Verso la fine del XIX secolo, anche negli Stati Uniti le epidemie di vaiolo portarono a campagne di vaccinazione contrastate anche qui da organizzazioni contrarie ai vaccini. Nacque così l’Anti Vaccination Society of America, fondata nel 1879, a seguito della visita in America del principale anti-vaccinazionista britannico William Tebb a cui si aggiunsero la New England Anti-Compulsory Vaccination League (1882) e la Anti-vaccination League di New York City (1885). Grazie al fiorire di queste organizzazioni gli anti-vaccinazionisti americani intrapresero alcune controversie giudiziarie per abrogare le leggi sulla vaccinazione in diversi stati tra cui California, Illinois e Wisconsin.

Nel 1902, a seguito di un'epidemia di vaiolo, il Consiglio Sanitario della città di Cambridge, nel Massachusetts, ordinò a tutti i residenti della città di essere vaccinati contro il vaiolo, ma un cittadino , tal Henning Jacobson rifiuto’ la vaccinazione adducendo che la legge violava in tal modo il suo diritto di prendersi cura in prima persona del proprio corpo e come reazione lo Stato a nome della città sporse denuncia contro di lui. Jacobson ricorse in  appello alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Nel 1905 la Corte si pronunciò a favore dello Stato, stabilendo che lo Stato poteva emanare leggi obbligatorie per proteggere la collettività in caso di malattie trasmissibili. Questa fu in sostanza, la prima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che sanciva una autorità degli Stati a tutela del diritto della salute pubblica. ( Gostin, L. Jacobson vs. Massachusetts at 100 years: Police powers and civil liberties in tension. AJPH. 2005;95:576-581. Accessed 01/10/2018 e Albert, M., Ostheimer, K.G., Breman, J.G. The last smallpox epidemic in Boston and the vaccination controversy N. Engl. J. Med. 2001;344. Accessed 01/10/2018 ).

Non c’è che dire, anche una ricostruzione storica, basata su evidenze bibliografiche, assume sempre ben altra valenza rispetto alle “chiacchiere”. ;)).

E’ ragionevole pensare che la diffidenza delle persone nei confronti dei vaccini nel corso del XIX secolo, ma anche successivamente, nascesse dal fatto che benché la vaccinazione avesse prodotto fin da subito benefici di gran lunga superiori ai rischi, per molto tempo fu un atto medico che dallo sviluppo alla somministrazione, venne condotto in condizioni non certamente sicure rispetto a quanto non lo siano oggi. Le condizioni igieniche in cui veniva praticato non erano assolutamente ottimali e ciò aumentava il rischio di sviluppare patologie secondarie, senza contare che gli effetti collaterali potevano essere molto spesso spiacevoli e prolungati nel tempo, con il rischio che si potesse anche perdere il posto di lavoro a causa della convalescenza. Nel corso della seconda metà del Novecento, grazie al fatto che la ricerca mise a disposizione un numero considerevole di vaccini per contrastare altrettante patologie, aumentarono decisamente le campagne di vaccinazioni. Purtroppo, non furono sempre “rose e fiori” e ci si trovò a volte di fronte ad impreviste battute di arresto che se da una parte fornirono argomenti agli ambienti contrari ai vaccini, dall’altra permisero di affinare le tecniche migliorando le procedure di controllo e sviluppo, assicurando più elevati standard igienici.

Una di queste battute di arresto, ad esempio, si verificò quando a Lubecca, in Germania, nel 1929, un lotto contaminato del vaccino antituberclare, causò il decesso di ben 72 bambini, dando vita a numerose azioni legali ( “A disaster caused by use of Bacillus Calmette-Guérin (BCG) for tuberculosis vaccination struck the German city of Lübeck” - National Library of Medicine: 

Timeline Category- Diseases & Vaccines ). Tutto ciò causò sia una fibrillazione del sentimento anti vaccinista che un deciso arresto delle campagne di vaccinazione contro la tubercolosi. Campagne che ripresero solo dopo gli anni Cinquanta/Sessanta, coadiuvate dall’azione di numerosi quanto efficaci farmaci antitubercolari. 

Attualmente la vaccinazione antitubercolare è obbligatoria per i bambini residenti in zone fortemente endemiche, ed il vaccino è noto come BCG (bacillo di Calmette Guérin) e possiede un'efficacia vicina all’ 80% nella prevenzione delle forme gravi infantili. 

( somministrato in età adulta è inefficace ).

sabato 15 giugno 2024

UN INNOVATIVO APPROCCIO TERAPEUTICO BASATO SULLA CLICK CHEMISTRY APRE LE PORTE A FUTURE APPLICAZIONI PER ALCUNE PATOLOGIE SU BASE GENETICA.


Nonostante il nostro genoma contenga un numero ancora imprecisato di geni (all’incirca “solo” 25.000), il nostro organismo è composto da una numerosa varietà di tipologie cellulari diverse, ciascuna in grado di soddisfare le più disparate funzionalità corporee. Sappiamo poi che le diversità di forma e funzione tra le varie  tipologie cellulari sono da  ascriversi  al modo con cui i geni vengono espressi. Partendo da questi semplici presupposti i ricercatori del MIT hanno elaborato una rivoluzionaria tecnica basata sulla chimica dei click (Click Chemistry appunto a proposito della quale ho già scritto qui: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/10/il-nobel-per-chimica-2022cala-il-tris.html) per identificare i geni attivi in fase di trascrizione all'interno di singole cellule.

La metodologia proposta, che consiste nel sequenziare l'RNA nascente di una singola cellula per tradursi in una trascrizione coordinata onnicomprensiva, offre un'opportunità senza precedenti per indagare i processi molecolari che regolano l'espressione genica a livello cellulare. Per farla breve, questo approccio innovativo consentirebbe ai ricercatori di identificare con precisione quali geni siano attivamente trascritti in un dato momento e di studiare come tali processi siano regolati in condizioni sia fisiologiche che patologiche.


Tanto per far mente locale, giova ricordare che la trascrizione dell'RNA è un processo dinamico che non avviene in maniera continua, ma piuttosto attraverso fasi intermittenti. Questa natura intermittente della trascrizione consente ai geni di essere attivamente espressi in determinati momenti e silenziati in altri. A tutto ciò aggiungiamo che la tempistica con cui si manifestano queste accelerazioni nella trascrizione dei geni dipende ed è regolata dall'attività di alcune “regioni” del genoma, note come "intensificatori". Gli intensificatori, più semplicemente, sono sequenze di DNA non codificanti che agiscono come siti di legame per fattori di trascrizione e altri co-fattori, facilitando in tal modo l'interazione tra i regolatori genici e l’attività trascrizionale. In parole povere, quando un segnale stimola l'attivazione di uno specifico gene, gli intensificatori agiscono sotto forma di “ponti molecolari” consentendo una rapida e coordinata accelerazione della trascrizione in quella regione del genoma.


Il Professore Phil Sharp, genetista e biologo del MIT, autore dell'articolo (https://www.nature.com/articles/s41586-024-07517-7#Sec8), ha recentemente sottolineato l'importanza di questa innovativa metodologia che consente ai ricercatori di osservare con precisione temporale l'attivazione della trascrizione genica. In sostanza, questo approccio avanzato permetterebbe di misurare con estrema precisione i cambiamenti nella trascrizione genica nel corso del tempo fornendo una prospettiva senza precedenti sulla dinamica dell'espressione genica a livello cellulare tracciando i momenti in cui determinati geni vengono attivati in modo massimale e conseguentemente esaminando come tali eventi siano correlati con l’attività degli intensificatori nel genoma.


Dal punto di vista pratico, per mettere in atto una simile metodologia i ricercatori hanno aggiunto alle cellule nucleotidi modificati contenenti uno speciale gruppo alchino. Durante una fase di accelerazione trascrizionale, i nucleotidi modificati sono stati incorporati nell'RNA. Il passo successivo è stato quello di isolare i nuclei dalle singole cellule per annettere un DNA barcode (in parole semplici uno strumento basato su sequenze di DNA) ai gruppi alchinici sui nucleotidi modificati grazie all’impiego della reazione di cicloaddizione azide-alchino catalizzata dal rame e cioè una delle reazioni chimiche più “eleganti” ed efficienti della Click Chemistry. In conclusione, essendo ogni DNA barcode unico per ogni nucleo di ogni singola cellula, i ricercatori hanno avuto l’opportunità di tracciare esattamente quali geni stessero subendo un’accelerazione di trascrizione all’interno di ogni specifica cellula.


Resta il fatto che lo studio è stato condotto utilizzando cellule staminali embrionali del topo, per cui non sappiamo ancora cosa potrà accadere quando dal laboratorio i trials verranno trasferiti sull’uomo per riprodurre al meglio lo stesso processo dimostrando benefici, sicurezza ed affidabilità. Tuttavia, vista la potenzialità indubbia di una simile scoperta, la “scommessa” può essere accettata in vista di un futuro sviluppo di nuovi trattamenti per molte malattie su base genetica.


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