giovedì 16 maggio 2024

PLASTICA (ANCHE) NEL CIBO, GLI ESPERTI LANCIANO L'ALLARME…E LA TV PRONTAMENTE RISPONDE.


Cominciamo con il chiarire perchè è così importante preoccuparsi di quanto tempo la plastica possa mantenersi nell’ambiente. La plastica si ottiene a partire da gas naturale o petrolio, per cui non sarebbe male come fonte di energia se la si dovesse incenerire…tuttavia  si porterebbe appresso gli stessi problemi che si riscontrano per la combustione sia del gas naturale che del petrolio, tra cui il  rilascio di CO2 (in Europa…il male del secolo per cui ogni due per tre si tirano in ballo le quote pro capite di CO2 mentre lo sweatshop, ossia lo sfruttamento dell’area asiatica e del sud del mondo creati dalla globalizzazione …chi se ne frega).


Le materie plastiche, essendo create dall’uomo, si possono definire sintetiche. Solitamente si identificano con nomi dal prefisso “poli” come ad esempio polietilene, polipropilene, poliestere (PVC o PET). Nel termine polimero, tale prefisso, indica “molti” ed esprime il concetto che nella plastica le molecole sono a lunga catena e si ripetono e questo è il motivo per cui la plastica può essere facilmente riprodotta in serie oltre ad essere dotata di una estrema resistenza visto che i batteri che si sono evoluti per scomporre i materiali organici, faticano non poco a digerire la plastica. Bene…ma quanto è “persistente” la plastica? (vocabolo inteso come il periodo di tempo durante il quale un materiale/sostanza potenzialmente contaminante permane nell'ambiente). A conti fatti, nessuno ha un’idea precisa di quanto la plastica possa persistere nell’ambiente. Infatti gli studi che hanno preso in esame il quesito molto spesso non prendono in considerazione elementi fondamentali come ad esempio l’esposizione alla luce solare, la temperatura, la dimensione/forma del campione e quindi non è assolutamente chiaro come i dati che si possono rinvenire anche in rete possano impattare numericamente sulla nostra vita. Gli esperti del settore, non concordano neppure su una definizione standard di cosa si intenda per “degradazione della plastica” ed infatti la recente letteratura sull’argomento, sottoposta a revisione paritaria, suggerisce che la plastica nell’ambiente potrebbe degradarsi in tempi molto più rapidi rispetto a quelli indicati sino ad ora, proprio per effetto dell’esposizione alla luce solare rispetto all’azione dei batteri. Non è un caso se questo studio (https://pubs.acs.org/doi/10.1021/acs.estlett.9b00532) suggerisce tra le altre cose, che il polistirene è in grado di degradarsi entro un paio di secoli se esposto alla luce solare e non in migliaia di anni come si pensava precedentemente.


Sostanzialmente è possibile riciclare la plastica in vari modi, ma se si lavorano diverse tipologie di plastica, ciò che si ottiene diventa difficile da separare a discapito naturalmente della qualità tanto che molti rifiuti di plastica finiscono nelle discariche o altrove come i fiumi ed i mari e non a caso attualmente negli Oceani ci sono circa 150 milioni di tonnellate di rifiuti plastici che incrementeranno ad un ritmo di 10 milioni/anno in cui incapperanno uccelli e pesci i quali finiranno con l’ingerirli. Questo non rappresenta di certo un bene visto che l’assunzione di plastica oltre ad agire negativamente su alcune funzioni dell’apparato digestivo, contenendo sostanze chimiche che conferiscono alla plastica un certo grado di morbidezza e stabilità, risulterebbero tossiche per gli animali. 

E, purtroppo, non finisce qui poiché una volta che una sostanza entra a far parte della catena alimentare, questa potrà diffondersi nell’intero ecosistema e man mano che si diffonderà, la plastica sarà scomposta in frammenti sempre più piccoli sino a raggiungere dimensioni inferiori al micrometro. Sono questi prodotti ad essere definiti come MICROPLASTICA. Dagli animali ai nostri mercati è un niente, sino a giungere all’uomo. 


A discapito delle notizie acchiappa clickbait, quali siano le reali conseguenze nessuno lo sa esattamente infatti sappiamo che le microplastiche costituiscono un terreno fertile per batteri e patogeni (il che non è ovviamente il massimo dell’aspirazione) ma anche altre micro particelle derivanti da foglie o rocce presentano lo stesso problema e non è detto che anche l’uomo non le ingerisca.

Al momento non è chiaro se ingerire microplastiche rappresenti un pericolo per la salute. Oltretutto le microplastiche possono essere di dimensioni così ridotte da poter circolare nell’aria insieme alla polvere e quindi essere anche inalate. In letteratura si possono leggere alcuni studi, condotti su colture cellulari, in cui si evidenzia come queste particelle siano così piccole da poter entrare nel sistema linfatico e circolatorio ma, a costo di ripetermi, in che misura tutto ciò incida sulla nostra salute non è stato ancora sufficientemente chiarito nonostante vi siano ricerche in corso che puntano a dimostrare come l’accumulo negli organi o nei tessuti delle micro e nanoplastiche possano favorire l’insorgenza di alcune patologie causate dalla formazione e dall’accumulo di aggregati proteici tossici quali

l’Amiloidosi, l’Alzheimer, l’Huntington e la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Idem dicasi per il cancro del colon-retto, nonostante i consueti allarmismi mediatici propinati, come nel caso di quanto discusso nella trasmissione di cui rimando all’immagine del post. Cerchiamo di di non fraintendere: siamo sempre e comunque nel perimetro delle ipotesi, dei “potrebbe” e delle possibilità (ancora tutte da dimostrare però). Tanto per essere chiaro riporto due conclusioni tratte da altrettante ricerche: “La dimensione delle particelle delle microplastiche estratte dai tessuti del colon varia da 1 a 1299 μm. Le microplastiche includevano polietilene, poli(metilmetacrilato) e nylon (poliammide). Nel complesso, i nostri risultati suggeriscono una POSSIBILE connessione tra il cancro del colon-retto e l’esposizione alla microplastica” (https://www.researchgate.net/publication/368234947_Higher_number_of_microplastics_in_tumoral_colon_tissues_from_patients_with_colorectal_adenocarcinoma#:~:text=The%20particle%20size%20of%20microplastics,colorectal%20cancer%20and%20microplastic%20exposure) ed ancora: “Sebbene NULLA sia stato ancora dimostrato, le microplastiche ingerite da una persona potrebbero rimanere bloccate nell’intestino, distruggendo lo strato di muco nell’intestino e riducendone l’effetto protettivo, aumentando la probabilità di cancro del colon-retto (https://www.thepress.co.nz/nz-news/350232204/could-microplastics-be-causing-increase-bowel-cancer-under-50s#:~:text=While%20nothing%20had%20been%20proven,of%20colorectal%20cancer%2C%20Frizelle%20said).


Diverso è invece il discorso che riguarda dal punto di vista professionale quegli operatori che lavorano a stretto contatto con le fibre plastiche e che respirano regolarmente quantità di microplastiche sviluppando maggiori probabilità di presentare problemi respiratori rispetto alla popolazione generale, quali tosse e riduzione della capacità polmonare. Ma anche in questo caso i dati disponibili circa l’insorgenza del cancro ai polmoni non sono affatto conclusivi.


Potevano inoltre i media astenersi dal proporre anche una possibile correlazione con l’obesità? Ma naturalmente no! (https://www.greenme.it/salute-e-alimentazione/salute/avresti-mai-detto-che-la-plastica-di-bottiglie-e-flaconi-fa-ingrassare-e-blocca-il-metabolismo/), (https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2022-09-11/plastic-might-be-making-you-obese), (https://www.theguardian.com/commentisfree/2023/apr/07/plastic-packaging-obesity-hormone-disruption) e perchè farsi scappare una simile opportunità? 


Questi titoloni, hanno preso spunto da 3 studi apparsi sulla stessa rivista (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S000629522200106X), (https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0006295222001083), ( https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0006295222001095) che correlavano l’impatto degli obesogeni sull’obesità. Il vocabolo “obesogeno” fu introdotto nel 2006 da due ricercatori della Università della California - Irvine (https://academic.oup.com/endo/article/147/6/s50/2878376?login=false) e sono “una tipologia di sostanze chimiche in grado di alterare il sistema endocrino”, molto simili agli ormoni naturali e che possono interferire con le normali funzioni dell’organismo. Attualmente si sa che circa un migliaio di sostanze chimiche hanno, o si sospetta che abbiano effetti deleteri sul sistema endocrino. Di queste, una cinquantina, possono influenzare il tasso metabolico basale (la quantità di energia, per unità di tempo, a riposo, di cui una persona ha bisogno per mantenere le funzioni corporee), la composizione del microbioma o gli ormoni che influenzano il nostro comportamento alimentare. Gli obesogeni si possono trovare nei cosmetici, nelle creme solari, nei conservati, nei farmaci, in molti inquinanti ambientali, nella polvere, nell’acqua, negli alimenti lavorati….and so on, ma le microplastiche…ah le microplastiche… non potevano di certo mancare all’appello lanciato dai media. 


Diversi studi sottoposti a revisione paritaria, riportano evidenze abbastanza convincenti di come gli obesogeni influenzino lo sviluppo di cellule adipose e muscolari ma stiamo parlando di studi condotti in laboratorio su colture cellulari, tuttavia, la dimostrazione che possano svolgere un ruolo significativo nel favorire l’obesità, non è altrettanto convincente. Una discreta quantità di studi su questo argomento mostra una correlazione favorevole tra l’esposizione all’obesogeno ed un elevato indice di massa corporea (BMI), in modo particolare in gravidanza o durante l’infanzia. Ma siamo sempre alle solite: solo perchè una correlazione è statisticamente significativa, ciò non significa che l’effetto sia così manifesto o diffuso, per cui, allo stato attuale possiamo parlare solo di congetture.

In una recente intervista, Robert Lustig (Professore emerito di Pediatria, Divisione di Endocrinologia presso l'Università della California, San Francisco (UCSF) e specializzato nel campo della neuroendocrinologia) ha dichiarato: “Se dovessi indovinare, sulla base di tutto il lavoro e le letture che ho fatto, direi che gli obesogeni, potrebbero incidere nel causare obesità, per un 15/20% ed è già molto”. Infatti ci sono anche studi che non hanno trovato alcuna correlazione.

Come accade sempre più spesso, i titoli dei giornali o le notizie trasmesse in TV, sono di maggior presa rispetto alle prove, quando si affrontano determinati argomenti che, al contrario, necessiterebbero di approfondimenti e non di due minuti di chiacchiere utili solamente nell’insinuare il solito, immancabile dubbio con relative preoccupazioni.


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