mercoledì 1 maggio 2024

ATLETA TRANSGENDER…ANCORA POLEMICHE…ANCHE IN TV.

 



Posso capire che sia piuttosto intrigante chiedersi a livello mediatico soprattutto se sia “giusto” osservare, per esempio, un’atleta trans come la nuotatrice americana Lia Thomas o più recentemente la ragazza ripresa nel video, gareggiare contro donne tutte non transgender ma il compito del giornalismo, televisivo o cartaceo che sia, dovrebbe essere quello di chiarire e spigare senza instillare il tarlo del dubbio e della iniquità, anziché dedicarsi alla cucina per preparare “minestroni” e, come ho già avuto modo di scrivere, “più leggo è più mi pare evidente che per molti l’unico sesso “buono” da prendersi in considerazione sia quello che si pratica da solo, senza ovviamente rinunciare ad un resistente guanto in nitrile per precauzione, per poi scoprire di aver però solo fatto un volo con la fantasia”. 


Per cui, fuori dai denti, ma quale tipo di messaggio si vorrebbe realmente far passare esattamente?

La maggior parte degli esseri umani può essere biologicamente classificata come maschio o femmina e le differenze tra i due sessi sono particolarmente evidenti anche solo prendendo in esami gli organi interni ed esterni. Queste differenze si evidenziano grazie all’espressione della ventitreesima coppia di cromosomi, XY per gli uomini e XX per le donne. Tutto ok sino a questo punto?…spero di sì.

Capita però che questa classificazione biologica tra i due sessi non sempre sia totalmente esaustiva. Esiste difatti una varietà sorprendentemente ampia di cosiddette condizioni “intersessuali” in cui l’espressione biologica può essere ambigua o più propriamente non allineata con l’espressione cromosomica di cui sopra. Diversi esempi sono realmente sbalorditivi. 

Alcuni ricercatori indiani nel 2014 hanno esposto il caso di un uomo settantenne e padre di 4 figli che venne sottoposto ad un intervento chirurgico avendo i medici rinvenuto la presenza sia di un utero che delle tube di Falloppio (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4276263/) nonostante possedesse sempre la ventitreesima coppia di cromosomi  XY maschile. Ed ancora, come non menzionare il caso della ostacolista spagnola María José Martínez-Patiño che solo dopo i 25 anni di età venne a conoscenza, pur essendo dotata di genitali femminili, di possedere un corredo cromosomico XY oltre alla presenza di testicoli interni? Come risultato, quando il tutto venne alla luce, le fu vietato di competere alle Olimpiadi del 1986.

Questi esempi rientrano nel novero dei disturbi DSD o DSS ossia disturbi della differenziazione sessuale. Certamente tali disordini sono rari, ma non così rari come si potrebbe pensare infatti secondo diverse stime rilevabili in letteratura, ne sono affetti un numero di persone comprese in una forbice tra lo 0,1% ed il 2% e tanto per dare un’idea dimensionale, il disturbo bipolare secondo le stime del NIMH, ha una incidenza compresa tra l’1% ed il 2% (https://www.nature.com/articles/nrurol.2012.182). Ciò significa, per esempio, che negli USA ci sono tra circa 300.000 e SETTE MILIONI di persone definibili “intersessuali” mentre a livello globale tra OTTO e CENTOSESSANTA MILIONI. 


Ovviamente esistono delle criticità nel proporre queste stime dal momento che la definizione di condizione intersessuale risulta piuttosto ambigua poiché si deve considerare che non tutte le persone intersessuali sono transgender, così come tutte le persone transgender non sono intersessuali. 

Il quesito su come comportarsi con le persone intersessuali nelle competizioni sportive precede quindi storicamente la più recente  domanda  di cosa fare con gli atleti trans e María José Martínez-Patiño ne costituisce un precedente esplicativo per cui formuliamo qualche considerazione. La sua condizione è definita 46, XY DSD e, se consideriamo la popolazione generale, si verifica una volta ogni 20.000 nascite. Le donne che ne soffrono presentano elevati livelli di testosterone (ormone maschile) e uno studio condotto da ricercatori europei nel 2014 ha evidenziato come nelle atlete ai massimi livelli agonistici, l’incidenza della 46, XY DSD nella nostra popolazione di atleti sia di circa 7 su 1000, ovvero 140 volte superiore a quanto previsto per la popolazione generale (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/25137421/). Il testosterone favorisce la crescita muscolare, rafforza la struttura ossea e aumenta i livelli di emoglobina (Hb) nel sangue, favorendo il trasporto di ossigeno e sappiamo benissimo che formulazioni sintetiche di testosterone spesso vengono utilizzate come doping. Comunque, María José Martínez-Patiño, dopo essere stata esclusa dalle Olimpiadi ha presentato ricorso sostenendo che non traeva alcun vantaggio dai suoi elevati livelli di testosterone dal momento che la sua condizione 46, XY DSD, caratterizzata da una insensibilità completa agli androgeni, produce sì l’ormone AMH (ormone antimulleriano) e testosterone che però non è in grado di agire in alcun modo ed infatti il provvedimento venne revocato.

Ovviamente esistono altre condizioni che possono determinare alti livelli di testosterone nelle donne e per complicare ulteriormente la questione, esiste un’ampia variazione naturale dei livelli di testosterone sia tra gli uomini che tra le donne e poiché le donne con livelli naturalmente elevati di tale ormone tendono ad avere buoni risultati nello sport oltre al dato di fatto di risultare sovra-rappresentate tra gli atleti, la presenza del testosterone negli atleti di sesso maschile e femminile risulta non linearmente ben definita.

Un articolo pubblicato nel 2014 da ricercatori britannici ed irlandesi (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/cen.12445) ha evidenziato  i profili ormonali di circa 700 atleti ad alto livello praticanti 15 sport diversi. Ne è emerso che il 16,5% degli uomini possedeva bassi livelli di testosterone mentre livelli elevati sono stati riscontrati nel 13,7% delle donne.  

Rammento che i vantaggi prodotti dal testosterone sono particolarmente evidenti nelle discipline che richiedono un maggiore sforzo da parte della parte superiore del corpo mentre incidono meno per le prove di resistenza.


Ora, fatta questa debita chiarificazione, ritorniamo a bomba sul discorso degli atleti trans. Le persone transgender non si identificano con il loro sesso al momento della nascita. Tralasciando le condizioni intersessuali, si può semplificare che un uomo trans (donna in transizione per diventare di sesso maschile) sia nato biologicamente donna e una femmina trans (uomo in transizione per diventare di sesso femminile) sia nata biologicamente maschio. Le persone non trans, sono comunemente definite “cis”.

Sappiamo che una parte delle persone trans può sottoporsi ad un intervento chirurgico e/o ad una terapia ormonale ma i risultati del trattamento di transizione differiscono notevolmente a seconda che sia avvenuto PRIMA o DOPO la pubertà. Durante la pubertà assistiamo ad aumento della statura di 20-25 cm per la femmina e di 25-30 per il maschio il quale sviluppa anche più muscoli. I cambiamenti fisici durante la pubertà sono in parte irreversibili e la successiva transizione non li annullerà completamente. 

Nel 1990 un seminario indetto dalle Federazioni Mondiali di Atletica Leggera accomandava che chiunque fosse stato sottoposto ad un intervento chirurgico per il cambio di genere prima della pubertà fosse accettato a competere con il nuovo sesso e la cosa non risulta affatto controversa. Il lato controverso è invece come comportarsi con coloro che si sono sottoposti a transizione dopo la pubertà. 

Il Comitato Olimpico Internazionale è sempre stato all’avanguardia nell’approvazione dei regolamenti in questo ambito. Nel 2004 ha stabilito che gli atleti transgender possono competere 2 anni dopo l’intervento chirurgico e nel caso si fosse fatto ricorso alla terapia ormonale. Nel 2021 il Comitato ha emanato una normativa che consente alle Federazioni Internazionali di decidere i propri criteri di ammissibilità, sia per gli atleti transgender che intersessuali (https://stillmed.olympics.com/media/Documents/Beyond-the-Games/Human-Rights/IOC-Framework-Fairness-Inclusion-Non-discrimination-2021.pdf#_ga=2.219716894.621299853.1686571450-594927581.1678187184). 

Questo significa che non esiste una regola semplice ed univoca per tutte le discipline. 


Ed allora ritorniamo al quesito se dopo un trattamento ormonale sia giusto per le donne transgender gareggiare con le donne cisgender. Nel 2019 un team di ricercatori europei di Belgio, Norvegia e Paesi Bassi ha misurato il cambiamento nella “forza di presa” (capacità di stringere un oggetto) dopo un anno di terapia ormonale in 250 uomini e donne transgender. Si è evinto che nelle donne trans la forza di presa diminuiva di 1,8 Kg, mentre aumentava negli uomini transgender di 6,1 Kg. Negli uomini trans (donne in transizione per diventare di sesso maschile), ma non nelle donne trans (uomini in transizione per diventare di sesso femminile), questa variazione della forza di presa era associata al cambiamento della massa corporea magra. A questo punto potremmo sostenere che la terapia ormonale sia più performante per gli uomini trans (donne in transizione per diventare di sesso maschile) rispetto alle donne trans (uomini in transizione per diventare di sesso femminile (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31247588/#:~:text=In%20transmen%2C%20increase%20in%20grip,%2D0.000%3B%20%2B0.009).

Ma andiamo avanti. Un altro team di ricercatori svedesi ha monitorato 11 donne e 12 uomini transgender prima e sino a dopo la fine della terapia ormonale (https://www.biorxiv.org/content/10.1101/782557v1.full.pdf). Ciò che è emerso è stato che il volume dei muscoli della coscia è diminuito del 5% nelle donne trans con una diminuzione del 4% dell’area della sezione trasversale del quadricipite mentre la densità muscolare è rimasta invariata, mantenendo più o meno gli stessi livelli di forza. Negli uomini trans invece il volume dei muscoli della coscia è aumentato del 15%. Anche l’area della sezione trasversale è aumentata del 15%, la densità muscolare del 6% ma al contrario del gruppo femminile transgender è stato dimostrato un aumento dei livelli di forza. Anche analizzando questi dati dunque pare che la terapia ormonale sia più performante per gli uomini trans (donne in transizione per diventare di sesso maschile) rispetto alle donne trans (uomini in transizione per diventare di sesso femminile). Di studi come questi ne esistono a bizzeffe, tanto è vero che a Marzo del 2021 una meta-analisi (per farla semplice analizzare più studi condotti su uno stesso argomento al fine di ottenere una sintesi con metodologie statistiche) ha preso in esame 24 studi, concludendo che anche dopo 3 anni di terapia ormonale  i valori di forza, massa magra e area muscolare nelle donne transgender erano maggiori rispetto a quelle delle donne cisgender (https://bjsm.bmj.com/content/55/15/865). Questi risultati però non sono direttamente applicabili agli atleti poiché nella popolazione generale mentre le donne intenzionate a cambiare sesso sono incentivate ad aumentare la massa muscolare, gli uomini in transizione per diventare donne, si applicano per diminuirla. Sostanzialmente questi studi concordano, chi più chi meno, sul fatto che la terapia ormonale agisce più rapidamente per le donne in transizione per diventare di sesso maschile (uomini transgender) rispetto agli uomini in transizione per diventare di sesso femminile (donne transgender) e ciò non si esaurisce del tutto dopo 3 anni.

A tutte queste riflessioni, occorre aggiungere che non si è in possesso di molti dati circa gli effetti di questi trattamenti ormonali nel lungo periodo. Una pubblicazione brasiliana del 2021 sostiene che dopo 15 anni le differenze tra gli uomini in transizione per diventare di sesso femminile (donne trans) e le femmine cisgender siano completamente scomparse (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8090355/). Leggendola, si comprende comunque, come si trattasse di uno studio molto piccolo con solo 8 persone arruolate e volendo fare una battuta, se si pretende che un atleta aspetti 15 anni per partecipare alle Olimpiadi, sarà poi troppo vecchio per potervi partecipare :-)).


Detto tutto ciò, non perdiamo di vista quanto siano fondate le polemiche che accompagnano l’immagine del post a proposito di quanto possa essere ingiusto veder gareggiare atlete trans con atlete cisgender. Dai dati sembra evidente che le donne trans e ribadisco quindi uomini in transizione per diventare di sesso femminile, mantengano un certo vantaggio anche dopo alcuni anni di terapia ormonale. Immagino che molti pensino che non sia giusto, nel senso che nessun tipo di estenuante allenamento da parte delle donne cis potrà compensare i vantaggi derivanti da ciò che accade durante la pubertà maschile. Ma le competizioni atletiche non sono mai state “giuste” in questo senso. Tanto per cominciare, per una prestazione atletica non è il sesso ad essere il fattore più importante bensì l’età. Essere maschio è solo uno dei diversi vantaggi innati per determinati tipi di sport (Bolt ha gambe molto lunghe, Phelps piedi molto grandi, alcuni giocatori di basket altezze esagerate). La seconda foto del post mostra, ad esempio, la squadra di basket femminile under 16 americana prima dell’incontro con quella di El Salvador: incontro terminato 114 a 19! Qualcuno si sognerebbe di polemizzare se sia stato giusto o sbagliato? Non dimentichiamo inoltre che mi sto riferendo solo a differenze chiaramente visibili; ci sono anche altri fattori come la densità ossea, la gittata cardiaca o il volume polmonare che sono in parte determinati geneticamente indipendentemente dal sesso. Personalmente io non avrei mai avuto la possibilità di diventare un sollevatore di pesi a livello Olimpico…ma non mi sono mai domandato se fosse giusto o meno. E questo perchè gli atleti a livello agonistico rappresentano una condizione biologica massima per non dire esasperata e l’equità non mai stata una prerogativa di un determinato tipo di competizioni. 


Dovremmo inoltre considerare un altro aspetto, ossia che queste competizioni dovrebbero anche intrattenere. Questo fatto potrebbe rappresentare il motivo per cui la ricercatrice Joanna Harper, pur essa un’atleta trans, ha proposto di parlare o scrivere mediaticamente di “competizioni significative” piuttosto che di “competizioni leali”. Storicamente uomini e donne sono stati separati nel corso dei vari eventi sportivi per rendere la competizione, ovviamente, meno noiosa. Per lo stesso motivo in alcune discipline come la boxe o il sollevamento pesi sono state introdotte sotto-categorie per cui potremmo allora domandarci se non sia il caso di aggiungere categorie aggiuntive per gli atleti trans ma se seguissimo tutta la logica di questa elucubrazione mentale, dovremmo arrivare alla conclusione che alla fine  l’unica persona con cui noi potremmo competere siamo noi stessi e punto. Oppure potremmo provare a misurare ogni singolo parametro che concorre alla riuscita della prestazione atletica in una singola disciplina per tentare poi di “aggiustarli” a proprio vantaggio. Ne deriverebbe che la persona che arriva ultima in una gara potrebbe risultare alla infine la vincitrice dopo aver “corretto” i parametri relativi al funzionamento della propria valvola cardiaca, ai livelli di testosterone, all’età, al volume polmonare leggermente ridotto ecc. ecc. ;-)). E questo sarebbe “giusto” nel senso che, in tal modo, tutti avrebbero la possibilità di vincere alla sola condizione di allenarsi duramente per poi però pagare lo scotto che sarebbero in pochi a vedere una tale competizione. 

Ma torniamo agli atleti transgender (senza tuttavia dimenticare per convenienza ideologica la condizione prima esposta di intersessualità). I ricercatori della Università della California, nel 2017 hanno stimato che la percentuale di persone transgender negli USA è dello 0,4% ed in Brasile dello 0,7%. Se questi numeri sono più o meno corretti, le persone transgender risultano allo stato attuale, sotto-rappresentate negli sport ad alto livello. Pensandoci bene, anche questo non sarebbe giusto ed è il motivo per cui sono dell’idea che le Associazioni sportive stiano facendo la cosa giusta, proponendo regolamenti basati sulle più affidabili dimostrazioni scientifiche disponibili e, finché gli atleti li rispettano, nessuno dovrebbe farsi carico di lanciare accuse di concorrenza sleale. Resta tuttavia il fatto che le Associazioni Sportive professionistiche dovranno presto affrontare un problema molto più grande. Piaccia o no, l’ingegneria genetica sta facendo passi da gigante e finché gli atleti potranno guadagnare un sacco di soldi procurandosi un vantaggio dall’impiego fraudolento di tale innovazione, ci sarà qualcuno che ne approfitterà in modo non etico. Chissà…tra meno di un secolo l’atletica professionistica non esisterà più se tali comportamenti contrari all’etica (per un uso scorretto rispetto a quanto di fantastico può svolgere lo sviluppo dell’ingegneria genetica per sconfigge definitivamente malattia attualmente incurabili) prevarranno. 

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