Pare proprio che a volte i nodi vengano al pettine. Qualche cosa l’avevo già anticipata qui e potrebbe essere utile leggerlo o rileggerlo per chi lo avesse già fatto a suo tempo: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2023/01/gmp-queste-sconosciute-ed-i-generici.html .
Mi viene in mente una conversazione telefonica avuta un paio di giorni fa con un carissimo amico che mi faceva notare come, chiedendo al proprio medico di base se avesse notato una qualche differenza tra il classico farmaco “griffato” ed il suo equivalente generico, la risposta fu uno sconcertante…BOH??? Il che a casa mia equivale ad un non lo so e la cosa non mi stupisce affatto dal momento che di media, parliamo di cose che un medico, anche se nota, non segnala (quasi) mai e con lui anche la maggior parte dei pazienti. Eppure il monitoraggio e la rilevazione della relativa risposta farmacologica rientra tra i parametri di una corretta applicazione delle “regole” di farmacovigilanza (https://www.walshmedicalmedia.com/open-access/generic-pharmaceuticals-is-pharmacovigilance-required-2329-6887-2-e124.pdf), e quindi, dando per buona l’interiezione, lascio che ognuno tragga le proprie iniziali considerazioni.
Ma andiamo con ordine. Come nacque l’industria dei farmaci generici? Sono pressoché convinto che in molti sobbalzerebbero sulla sedia se immaginassero che fu proprio una figura come Gandhi a contribuire al suo sviluppo. Eppure basterebbe leggere l’inizio del libro “Bottle of Lies” di Katherine Eban (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7309676/) incentrato su di un elenco di scandali collegati al mondo dei farmaci generici, per farsene un’idea meno disincantata. L’immagine ritorna al 1939 o giù di li, quando il Mahatma, in visita ai laboratori Cipla di Bombay, incoraggiava il chimico Khwaja Abdul Hamied e la biochimica Sushila Nayar a copiare i farmaci occidentali con lo scopo di renderli economicamente accessibili per l’intera popolazione dell’India. Who would have thought it? Come ovvio, tutto questo rappresenta solo una goccia nel mare di un dibattito e di una battaglia geo-politico-economica molto complessa che iniziò negli anni 60’ e di cui, probabilmente, scriverò, in un altro post. Resta il fatto che proprio a partire da quegli anni, nel divenire, si è arrivati alla alla sperequazione che non vi siano diseguaglianze tra un farmaco “originale” ed un corrispondente generico.
E come potrebbe essere diverso? Ci sono medici che dicono che essendo le molecole uguali, i due farmaci sono uguali e qui mi torna alla mente l’esclamazione finale della pubblicità della Vigorsol gridata a gran voce: “Idioziaaaa!” Almeno la categoria dei farmacisti si spertica con una considerazione aggiuntiva quale la garanzia del mantenimento della bioequivalenza, cosa peraltro corretta se non si trattasse di teoria. Di fatti pare proprio però che la vicenda GVK Biosciences non abbia insegnato nulla (https://www.fiercebiotech.com/regulatory/gvk-feels-sting-after-data-scandal) e mi riferisco a tutta una serie di irregolarità che hanno “messo in dubbio i dati di bioequivalenza utilizzati per supportare le approvazioni europee di un numero imprecisato di farmaci, e per cui alcuni paesi hanno ritirato le loro autorizzazioni all’immissione in commercio” (e da qui la scoperta dell’acqua calda per cui tra la teoria e la pratica c’è di mezzo un abisso). Tanto quanto, per portare un altro esempio la vicenda Ranbaxy Laboratories che “nasce” quando l’ingegnere Dinesh Thakur che tra il 2003 e il 2005 è stato direttore e responsabile delle informazioni sulla ricerca e gestione del portafoglio farmaci presso la stessa Ranbaxy Laboratories decise di “vuotare il sacco” affermando che la prassi aziendale prevedeva che fosse il management a dettare i risultati desiderati e che gli sviluppatori non avevano esitato a “rimodellare” i processi produttivi per raggiungerli. Come ovvio, l’azienda operò in larga misura su quei “mercati” dove la regolamentazione era più lacunosa e quindi il rischio di essere presi con le mani nel sacco ridotto ai minimi termini. Tradotto, nemmeno l’ombra di dati a sostegno di alcune delle domande di autorizzazione di Ranbaxy in quelle Regioni e la logica conclusione fu che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e i Ranbaxy Laboratories annunciarono che la società si era dichiarata colpevole accettando di pagare 500 milioni di dollari per mettere giuridicamente una pietra tombale su tutte le accuse di false dichiarazioni, violazioni di produzione e false dichiarazioni alla Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti.
(https://fortune.com/2013/05/15/dirty-medicine/).
Tutto ciò ovviamente non si traduce nel fatto che l’intenzione di Gandhi fosse peregrina. Anzi. Piuttosto dimostra come passare dal Purgatorio all’Inferno, sia un attimo. Un modello industriale farmaceutico che nasce con nobili intenzioni per contrastare Big Pharma, finisce con assumerne in peggio i connotati con buona pace dei possibili fruitori (pazienti) e dei vari Enti Regolatori (https://www.thehindu.com/business/Industry/explained-why-are-indian-drugmakers-under-the-lens/article67032025.ece). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sì stabilito (e alcuni stabilimenti la seguono), una definizione di “buona pratica di gestione” per la produzione di farmaci, ma gli organismi di regolamentazione internazionale fanno una enorme fatica per applicarla. Basti pensare che nel 2020 l’FDA riusciva a malapena ad ispezionare il 10% degli esportatori indiani e cinesi di principi attivi sul mercato statunitense e non penso proprio che l’EMA
navighi in acque migliori.
Che piaccia o meno, molto semplicemente, la chiave di volta per una produzione SICURA è monitorare e controllare attentamente ogni aspetto della produzione dei farmaci e documentare il tutto, per cui il track record* ed il master batch record** non dovrebbero essere documenti TOTALMENTE sconosciuti per chi opera in ambito sanitario. Ma tant’è!!!
PS1: *track record: Ogni Azienda Farmaceutica è caratterizzata da uno storico che ovviamente può essere declinato sotto forma di numeri. Numeri che forniscono un’istantanea che delinea un dettagliato compendio di tutte le attività svolte sino a quel momento e che partendo dai risultati ottenuti in passato permettono di certificare l’intera competenza e professionalità a livello manageriale dell’azienda, rilevando il livello di conoscenza e di esperienza di chi è al timone dell’Impresa. Il track record farmaceutico rappresenta di fatto l’insieme di registrazioni, sistemi e processi che consentono ai produttori di garantire che i loro prodotti siano monitorati in modo sicuro dallo stabilimento di produzione, attraverso la distribuzione, fino allo scaffale della farmacia.
PS2: **master batch record: un documento che contiene l’insieme di tutte le informazioni possibili necessarie alla produzione di un farmaco annotando in che modo viene realizzato e dettagliando tutte le fasi di produzione. In sintesi le informazioni contenute riguardano: la formula di fabbricazione, l’identificazione del nome del prodotto, il peso la misura ed il conteggio di ciascun componente necessario alla produzione, l’elenco delle attrezzature, dei componenti, la dichiarazione teorica della resa di tutte le fasi del processo produttivo e della conseguente resa attesa del prodotto finito, le informazioni riguardanti la corretta manipolazione dei materiali nonché tutti i ragguagli inerenti la manutenzione, pulizia e sanificazione. Questo documento dovrebbe sempre essere ispezionato dalle autorità regolatorie e permette di operare in accordo ai requisiti delle GMP. Per chi si chiedesse quale sia la differenza tra un master batch record (MBR) ed il batch record (BR) basti sapere che quest’ultimo replica tutte le informazioni dell’MBR ma relativamente ad un solo lotto di produzione. In Italia il sito dell’AIFA ha reso disponibile una sezione sull’argomento apposita. (https://www.aifa.gov.it/ispezioni-autorizzazioni-gmp-materie-prime).
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