In questo post (https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/04/sars-cov-2-analisi-della-trasmissione.html) ho analizzato e mi auguro chiarito ciò che all'inizio della pandemia, è sempre stato negato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ovvero che il SARS-CoV-2 non si trasmetteva attraverso l'aria.
Ora, grazie ad un nuovo studio, esce fuori che anche il grado di umidità relativa (RH) influisce pesantemente sulla capacità di sopravvivenza del coronavirus nell’aria.
Durante l’espirazione, gli aerosol emessi subiscono una bella “botta”. Perché? Perché in un baleno gli aerosol vengono spinte dall'ambiente umido e ricco di anidride carbonica dei polmoni nell'aria degli ambienti domestici o di qualsivoglia ambiente al chiuso, dove le condizioni sono ovviamente diverse rispetto ai polmoni. Per cui, tutti i virus, incluso il coronavirus SARS-CoV-2, che decidono di fare l’autostop servendosi degli aerosol per raggiungere altri ambienti ed infettare, in tal modo possono nuocere a se stessi.
Stando ad una recente ricerca la capacità infettante del SARS-CoV-2 può diminuire fino al 90% entro pochi minuti dall'impatto con l'aria nei luoghi chiusi. (https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.2200109119).
Si tratta del primo studio che ha indicato e dimostrato come le condizioni ambientali possono influenzare la sopravvivenza di SARS-CoV-2 veicolati dagli aerosol subito dopo l'espirazione. I ricercatori hanno messo in evidenza come la sopravvivenza del virus sia fortemente influenzata dall'umidità relativa (RH) del nuovo ambiente in cui gli aerosol vengono a trovarsi.
Per umidità relativa si intende “il rapporto in % tra la quantità di vapore acqueo contenuta in una massa d’aria e la quantità massima che la stessa può contenere nelle medesime condizioni di temperatura e pressione, ad ogni singola temperatura”, per cui quando le persone parlano comunemente di umidità, state pur certi che si riferiscono alla umidità relativa che ci indica quanto “umida” sia l’aria che le circonda. Qualche esempio può essere utile per chiarire il concetto: una RH bassa, diciamo <40%, può causare secchezza della pelle, prurito e sete mentre una RH, diciamo ben >60%, fa percepire le temperature fredde più fredde e le temperature calde più calde. Se poi il clima è molto caldo con una elevata RH la capacità del nostro corpo di rinfrescarsi attraverso la sudorazione è compromessa.
Ma ritorniamo a bomba allo studio. Jonathan Reid, autore principale nonché direttore della Bristol Aerosol Research Centro presso l'Università di Bristol, chiarisce che a RH inferiore al 50%, gli aerosol cristallizzano mentre l'acqua evapora e i sali al loro interno si concentrano. Questa condizione In pochi secondi è in grado di inattivare il 50% del virus all'interno degli aerosol. Contrariamente, a umidità più elevate, tutto si svolge più lentamente e quando l’RH si avvicina al 90%, interviene un altro fattore molto importante per l’inattivazione virale, ossia un rapido aumento del pH. Infatti gli aerosol diventano più alcalini nel momento in cui si liberano della CO2 per adattarsi ai valori degli ambienti esterni notoriamente più bassi di quelli polmonari.
Insomma, per farla semplice, quando l’aria è molto umida, la capacità infettante diminuisce del 50% entro i primi 5 minuti e diminuisce del 90% entro 20 minuti.
Chiaro che a questo punto, dando per buono lo studio, la capacità infettante di un patogeno non si correla direttamente ed esclusivamente al grado di temperatura, per cui si potrebbe mettere in discussione che siano le alte temperature, piuttosto che l’RH, a sopprimere il SARS-CoV-2
A supporto, Linsey Marr, ingegnere ambientale presso la Virginia Tech. sottolinea come i risultati che emergono da questo studio siano simili a quanto riportato per altri virus veicolati grazie agli aerosol, come l'influenza (https://www.cambridge.org/core/journals/epidemiology-and-infection/article/airborne-microorganisms-survival-tests-with-four-viruses/78E907605FDC1FCF878F4C48FC0BF3B6). Ma come spesso accade quando si indaga con metodo su condizioni sconosciute, non mancano, come contraltare, anche studi in cui si afferma che i virus sopravvivono meglio a livelli bassi di RH e questo dal momento che l’aria secca può rendere le persone più suscettibili alle infezioni virali, contrastando una corretta risposta immunitaria e minando i meccanismi di difesa naturali di cui dispongono i polmoni.
Insomma “Hard Science, Hard Choices” come scriveva anni anni fa Sandra J. Ackerman.
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