martedì 31 maggio 2022

TRA VAIOLO UMANO E VAIOLO DELLE SCIMMIE UN POURPARLER LIMITATO SU UN TRIS DI ANTIVIRALI


E venne il tempo anche del vaiolo delle scimmie, con la sua immancabile striscia quotidiana su vari TG, Radio ed affini, dopo che sono stati recentemente confermati alcuni focolai non in zone tipicamente confinate nell'Africa centrale e occidentale ma bensì, inaspettatamente, in una ventina di Paesi tra Europa (Italia compresa), Stati Uniti, Canada e Australia ecc. per un totale di circa 600 casi documentati.

Il vaiolo delle scimmie, nell’uomo, si manifesta come una zoonosi causata dal virus del vaiolo delle scimmie, un orthopoxvirus, considerabile alla stregua di un parente stretto del virus del vaiolo umano. Stiamo facendo riferimento comunque, ad una malattia certamente rara, trattabile, che in genere si presenta con febbre, lesioni cutanee e linfonodi ingrossati, e che può causare, come molte altre infezioni, complicazioni come infiammazioni cerebrali e polmonari. Ma il tutto si può tranquillamente derubricare ad un evento clinico di scarsa gravità. Per cui...eviterei qualsiasi "apriti Cielo"!!!

Il 24 maggio scorso, Hugh Adler della Liverpool School of Tropical Medicine, ha pubblicato (Lancet 2022, DOI: 10.1016/S1473-3099(22)00228-6- https://www.thelancet.com/journals/laninf/article/PIIS1473-3099(22)00228-6/fulltext ) uno studio retrospettivo in cui sono stati esaminati i trattamenti off-label con antivirali (Tecovirimat e Brincidofovir) di 7 pazienti affetti dal vaiolo delle scimmie nell’arco di tempo 2018 - 2021 per valutarne l’attività sia sui sintomi che sulla capacità di inibire la contagiosità e quindi fornire indicazioni su come questi farmaci potrebbero funzionare.
Bene, che cosa è emerso da questo ridottissimo campione? I tre pazienti trattati con 200 mg. di brincidofovir per via orale una volta alla settimana hanno dovuto interrompere il trattamento dopo un innalzamento elevato degli enzimi epatici che propendevano per un'infiammazione o una lesione del fegato, mentre il paziente a cui sono stati somministrati 200 mg di tecovirimat orale due volte al giorno per 2 settimane non è incorso in effetti avversi ed ha manifestato una durata dei sintomi più breve.

Benché Adler abbia intravisto segnali promettenti in tecovirimat, la dimensione del campione è molto ridotta, per cui, una simile tipologia di analisi e studio potrebbe e dovrebbe servire da trampolino di lancio per ricerche sempre più ampie, accurate ed esaustive.
Premesso che il vaiolo, essendo stato dichiarato ufficialmente eradicato nel 1980, non annovera antivirali attualmente esistenti che siano stati impiegati su esseri umani affetti da vaiolo, finora, solo un antivirale, il Tecovirimat, commercializzato con il marchio Tpoxx, è stato approvato in Europa per il trattamento di diversi disturbi, tra cui il vaiolo delle scimmie ed il classico vaiolo, mentre negli USA, la Food and Drug Administration, nel 2018, si è limitata a quest’ultima indicazione. Questa molecola si comporta come un inibitore della proteina p37, fondamentale per la formazione e la fuoriuscita delle particelle virali dalle cellule infettate. ll suo impiego, in sostanza, si configurerebbe solo in caso, c’è da augurarsi fantascientifico, di attacco terroristico.

Anche il profarmaco di Cicofovir (leggasi più sotto), assunto per os Brincidofovir, noto commercialmente come Tembexa è stato approvato per il trattamento del vaiolo dalla FDA, in quanto inibendo la DNA polimerasi virale, impedisce la replicazione del DNA . Ciò è in grado, nei test di laboratorio, di stoppare la crescita del virus che causa il vaiolo e di mostrarsi efficace nel trattamento di animali affetti da malattie simili al vaiolo.
Un discorso a parte merita invece il Cidofovir, ugualmente un inibitore della DNA polimerasi, che a differenza dei primi due, non è però stato approvato dalla FDA per il trattamento delle infezioni da virus variola, pur avendo dimostrato nei test di laboratorio, la capacità di fermare la crescita del virus che causa il vaiolo e di essere efficace nel trattamento di animali affetti da malattie simili al vaiolo. Utilizzato endovena mostra certamente un ampio spettro ed una attività che lo avvicina al long-acting, in virtù di quella che può essere considerata una lunga coda lipofilica.

Ovviamente, non risultando né fattibile né etica una sperimentazione dell’efficacia di questi farmaci sull’uomo, questi antivirali sono stati approvati seguendo la cosiddetta “Animal Efficacy Rule”, ossia basandosi su studi animali (i.e., primati non umani e conigli nella fattispecie). Successivamente, la sicurezza, la tollerabilità e gli effetti collaterali, sono state testate su persone sane o portatrici di altre infezioni virali.

lunedì 23 maggio 2022

STEREOTIPI CANINI CHALLENGEN: LA GENOMICA CANINA SFIDA E DEMOLISCE ALCUNI CLICHE'.


Essere etichettati secondo stereotipi, attribuzioni interpersonali e tipiche reazioni di matrice “popolare” non capita solo alle persone, ed infatti anche i nostri amici pelosi non sfuggono ad una tale “rappresaglia” figlia della banale erudizione da parte di titolati esponenti della mediocrazia più blasonata.

Piaccia o meno ma sarebbe quasi ora che qualcuno si svegliasse e si abituasse all’idea, che esprimo “like if I were a 2 year old” (ho un debole per Denzel Washington…che posso farci) che tutti i cani sono “buoni”indipendentemente dalla razza.  E tanto per portare le “pezze d’appoggio” alla mia affermazione cito un recente studio di genomica in cui si dimostra come la correlazione tra razza e comportamento si possa misurare in parsec. Non scopro certamente l’acqua calda se sottolineo che l’idea per cui a determinate razze canine corrispondano tratti comportamentali caratteristici, appartiene più ad una credenza frutto di tramandate illazioni “popolari”. E così i cliché vanno a ruba ed i golden retriever (rigorosamente tutti eh?!) sono assolutamente amichevoli mentre i levrieri risultano tipicamente più indipendenti e predisposti a farsi gli affari propri. Fortunatamente (o sfortunatamente… dipende sempre dai punti di vista) lo studio di genomica di cui sopra, mette in discussione questa idea, che oggi appare un tantino bislacca. (https://www.science.org/doi/10.1126/science.abk0639).


Kathleen Morrill ed Elinor K. Karlsson della Chan Medical School dell'Università del Massachusetts e i loro colleghi hanno intervistato 18.385 proprietari di cani - circa la metà dei quali possedevano cani di razza mentre l’altra metà cani meticci - al riguardo dei tratti comportamentali dei loro animali domestici a cui hanno aggiunto anche il sequenziamento del DNA di ben 2.155 esemplari (non proprio tutta fuffa). Il loro studio ha chiarito come la maggior parte dei tratti comportamentali facciano riferimento ad una “ereditabilità (h2) > 25%”, là dove “si definisce ereditabilità per un particolare carattere la componente di quel carattere dovuta ai geni, espressa come valore numerico da 0 (nessuna influenza genetica su quel carattere) a 1 (carattere dovuto interamente ai geni)”.


Per farla semplice, la razza è uno scarsissimo indicatore predittivo del comportamento del cane, influendo su di esso, al massimo, per un misero 9%. A completamento dello studio è anche emerso che avere notizie accurate sulla discendenza, può indirizzare verso un presumibile tipo di comportamento, ma limitatamente a tratti come la “disponibilità” intesa come la capacità di reagire ai cambi di direzione ed ai comandi in genere a differenza di quella che viene definita “soglia o capacità agonistica” per la quale la razza, non fornisce alcun tipo di informazione predittiva attendibile.


Questi pochi concetti sono stati chiariti molto bene dalla stessa Karlsson in un comunicato stampa in cui dichiara: “La personalità e il comportamento di un cane sono certamente frutto della funzione di molti geni ma anche e soprattutto dall’esperienza di vita vissuta dall’animale. ", (https://www.umassmed.edu/news/news-archives/2022/04/umass-chan-study-shows-canine-behavior-only-slightly-influenced-by-breed/). Sarebbe un grave errore non considerare che, se da un lato i tratti comportamentali dei nostri amici riassumono il risultato di migliaia di anni di adattamento, dall’altro, le “moderne” razze canine, strutturate sulla base di particolari caratteristiche fisiche ed estetiche, sono nate solamente meno di 160 anni fa.


domenica 22 maggio 2022

IL PUNTO SULLO SVILUPPO DEI VACCINI SPRAY NASALI ANTI COVID.

 

Innanzitutto…perché? Perché sviluppare un vaccino anti Covid somministrabile per mezzo di una formulazione di questo tipo? Prima di cercare di esporne i motivi scientifici nel modo mi auguro più semplice e comprensibile possibile, mi corre lanciare un “preventive warning” nei confronti di chi pregustando salti acrobatici di palo in frasca, si lancerà nel ripetere a papera l’ennesimo slogan nei confronti dell’avidità di Big Pharma, che se le inventa tutte pur di macinare quattrini. No, cari Signori, non è questa banalità il motivo e con l’occasione prendo spunto per togliermi un piccolo sassolino dall’infradito a proposito dei guadagni per cui tanto ci si scandalizza. Le industrie farmaceutiche NON sono enti di beneficenza e questo ritornello che l’industria privata debba lavorare ed investire pro bono mi ha sempre fatti “inca####e non poco. Davvero non mi viene in mente una sola ragione per cui, chi produce vaccini, o medicinali in genere, non debba ricavarne un profitto. Mi pare un concetto di una logica marmorea. Tanto quanto il fatto che per farlo possa ricorrere all’impiego di denaro pubblico dal momento che per avere a disposizione un determinato tipo di vaccino / medicinale vi è sempre un legittimo interesse pubblico alle spalle. Spetta piuttosto ai disparati Enti Regolatori sorvegliare che tutto avvenga nei limiti della decenza e della equità, così come sarebbe auspicabile che le diverse Società Scientifiche, impegnate nel promuovere quello piuttosto che quell’alto presidio terapeutico, non incassassero nemmeno un centesimo, da parte di chi quel presidio lo commercializza. Chiaro no?

Detto questo, torniamo allo spray nasale. Sul come agiscano i gli attuali vaccini ed in particolare quelli a mRNA, si è scritto, dibattuto e letto in tutte le salse ed ormai sappiamo che, di base, possiamo fare affidamento sulla cosiddetta Immunità Umorale e Cellulare. Gran cosa certamente, ma non sufficiente dal momento che risposte di questo genere non sono in grado di intralciare l’ingresso del virus nel nostro organismo attraverso quella che sono le vie di accesso per eccellenza, ossia le mucose del naso e della bocca. O almeno, se ciò avviene, è solo limitato e parziale. 


Quello che in sostanza abbiamo imparato è che gli attuali vaccini per la Covid-19, somministrati per via intramuscolare, sono estremamente efficaci nell’attivare i sistemi immunitari di cui sopra, una volta giunti all’interno del nostro organismo ma lì si fermano. La loro efficacia infatti diminuisce nel tempo e, come evidenziato dall'alto numero di casi di infezioni da addebitarsi alle varianti via via emerse a partire da Omicron, per quanto la cosa non possa affatto far piacere, la possibilità che l’attività dei vaccini sia elusa rappresenta una realtà. Resta comunque la certezza che il grado di efficacia nel proteggere dalla malattia grave rimane pur sempre molto alto, oltre il 90 %, mentre la probabilità di difendersi dal rischio di contagio si attesta sul 60 %, e questo perché la somministrazione intramuscolare del vaccino non è in grado di contrastare l’ingresso del virus dal portone principale, cosa che invece sarebbe alla portata dei vaccini somministrati attraverso spray nasali. As simple as that….


La metafora utilizzata da Sean Liu, MD, direttore medico dell'unità di studi clinici Covid presso la Icahn School of Medicine at Mont Sinai a New York City, per chiarire il concetto, è estremamente efficace (https://www.theguardian.com/society/2022/may/05/are-nasal-sprays-vaccine-answer-to-stopping-covid-transmission). In corso di infezione da Sars-CoV-2 dobbiamo pensare al nostro corpo come ad un castello in cui la vaccinazione intramuscolare è in grado di presidiare e difendere le aree interne  grazie all’intervento dei vari gradi di difese immunitarie che impediscono la conquista del trono da parte degli “invasori” (leggere il virus). Ma si può e si deve fare di più, ossia attivare le difese immunitarie all’ingresso del castello. In tal modo, il virus non solo avrebbe maggiore difficoltà ad entrare ma potrebbe anche incontrare maggiori difficoltà nel diffondersi al suo interno.

E per capire bene questo passaggio, occorre spendere qualche parola su quella che viene definita come Immunità Mucosale.


L'immunità mucosale coinvolge un insieme complesso di tessuti mucosi come quelli del sistema respiratorio, gastrointestinale e genitourinario, cellule di natura non linfoide, linfociti e molecole effettrici come ad esempio citochine, chemochine e anticorpi.

In tutto questo “ambaradan”, le mucose rappresentano uno strumento indispensabile per mantenere il contatto con il mondo esterno. Per questo motivo i tessuti della mucosa sonno costituiti da sottili barriere permeabili e, giocoforza sono vulnerabili alle infezioni. Questo è il motivo più semplice per spiegare perché la maggior parte dei virus si sia evoluta per entrare nell’ospite attraverso queste vie. Insomma, nihil sub sole novum. Una volta debellata l’infezione a livello mucosale, sarà compito dei linfociti di memoria e delle plasmacellule del sistema immunitario adattativo nonché neutrofili, fagocitici, macrofagi, cellule dendritiche (DC), cellule natural killer e mastociti ecc. pattugliare questi tessuti, preservando le prime linee, con l'obiettivo, in caso di re-esposizione, di prevenire eventuali altre infezioni. Del resto non è una novità che in molti si stimi che i tessuti mucosali contengano più linfociti di memoria rispetto all'intero resto del nostro organismo.

Ciò che è certo è che mentre la somministrazione inrtamuscolo (IM) degli attuali vaccini stimola molto debolmente l’immunità mucosale, l'immunizzazione indotta da una somministrazione intra nasale (IN) può indurre una forte immunità mucosale capace di evitare l'ingresso e lo sviluppo di agenti patogeni attraverso le mucose.


Studi recenti indicano che i vaccini IM, all’altezza del tratto respiratorio superiore, dimostrano ancora una insufficiente efficacia nel controllare la replicazione virale e la sua diffusione a livello nasale, causando in tal modo un’infezione che, pur presentandosi asintomatica o paucisintomatica, risulta comunque in grado di trasmettere il virus ad altri individui. Al contrario, i vaccini IN dovrebbero poter sviluppare una potenziale capacità di indurre un'immunità anche sterilizzante nei confronti dei patogeni della mucosa (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32931734/). Oltre a ciò, l'immunità sistemica umorale e cellulare conseguente alla somministrazione del vaccino mediante spray nasale sarebbe paragonabile se non addirittura maggiore a quella indotta dalla somministrazione per via intramuscolare, la qual cosa suggerisce che potrebbe essere necessario e sufficiente un dosaggio di vaccino inferiore a quello attuale. (Bricker T.L. Darling T.L. Hassan A.O. et al. - “A single intranasal or intramuscular immunization with chimpanzee adenovirus-vectored SARS-CoV-2 vaccine protects against pneumonia in hamsters”. - Cell Rep. 2021; 36109400 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34245672/). Ma tra il dire ed il fare….Basti pensare ad esempio che con una formulazione simile, le persone possono anche ingerire ciò che viene nebulizzato o addirittura starnutire, il che renderebbe comunque difficoltoso individuare un dosaggio ottimale da somministrare.

Last but not least, il grado di immunizzazione derivante dalla somministrazione del vaccino per via nasale (IN) sarebbe in grado anche di indurre la formazione di anticorpi pan-coronavirus, cosa che, visto l’aumento dei contagi dovuti alle varianti (leggere Omicron), rappresenta un fattore di non secondaria importanza.


Come riporta il The Guardian, sebbene il primo vaccino IN non sia ancora stato approvato per uso umano, attualmente sono in corso più di dodici studi clinici, suddivisi in varie fasi, sui vaccini Covid IN (https://clinicaltrials.gov/ct2/results?term=intranasal+AND+vaccine&cond=COVID-19&Search=Apply&recrs=a&recrs=d&age_v=&gndr=&type=&rslt=), ma la strada è ancora tutta in salita e non priva di “trabocchetti”. Nelle seguenti 2 tabelle linkate qui di seguito, potrete leggere quelli inclusi nelle fasi pre-cliniche e cliniche (https://www.thelancet.com/action/showFullTableHTML?isHtml=true&tableId=tbl0001&pii=S2352-3964%2822%2900025-1) e (https://www.thelancet.com/action/showFullTableHTML?isHtml=true&tableId=tbl0002&pii=S2352-3964%2822%2900025-1).


Insomma, c’è ancora da aspettare prima di poter dire tutto va bene madama la marchesa, Prima di tutto l'antigene utilizzato nel vaccino dovrebbe rimanere nelle vie aeree superiori per un periodo di tempo sufficiente a consentirne un assorbimento utile ad innescare una risposta immunitaria in grado di agire per lungo tempo, ma sta di fatto che lo strato epiteliale di questo tratto di apparato respiratorio ha una innata e giustificata capacità di intrappola le particelle virali per poi poterle espellerle. Fine dei giochi?…Magari! Lo stesso antigene dovrebbe essere dotato di una sufficiente stabilità che lo possa rendere capace di resistere alla degradazione enzimatica che avviene a livello del rivestimento della mucosa, prima tra tutte la degradazione mediata dall'azoreduttasi. Eh si eh? non certo una passeggiata di allegria, ma del resto, questa “sconosciuta” risulta principalmente coinvolta nella riduzione del legame azoico e nell’attivazione riduttiva dei pro-farmaci che, a livello iniziale, rappresenta una fase cruciale nei meccanismi di degradazione e disintossicazione.

Un buon approccio iniziale che aiuti almeno a superare in parte questi ostacoli potrebbe essere quella di valutare, durante il processo di formulazione di questa nuova classe di vaccini l’impiego di “adiuvanti” e dispositivi di somministrazione (devices) che possano agevolare il prolungamento del tempo in cui l'antigene rimane nel rivestimento della mucosa migliorandone al contempo la stabilità.


Del resto, avere notizie confortanti dagli studi sui vaccini IN che indichino il grado di risposta immunitaria prodotta, quanto protezione possa conferire e per quanto tempo potrebbe durare, non possono essere derubricati a meri sfizi da topo di laboratorio. Un esempio pratico?…Se un vaccino somministrato per via nasale fornisse una forte protezione contro le infezioni, ma limitatamente a pochi mesi,  potrebbe funzionare meglio come booster autunnale, per essere poi integrato con i classici vaccini Covid, magari aggiornati, in grado di fornire una protezione "sistemica" più duratura contro la malattia grave.

Per non parlare del fatto che lo sviluppo dei vaccini IN comporterebbe anche un enorme valore sia sociale che economico. Sarebbe perciò possibile immunizzare intere popolazioni con tempi molto più rapidi dal momento che non richiedono la somministrazione da parte di appositi operatori sanitari, oltre a migliore notevolmente la compliance di tutti i pazienti, bambini inclusi. Senza dimenticare che non occorrerebbe mantenere alcuna catena del freddo, dal momento che può bastare una semplice frigorifero per conservarli.


Quindi non resta che aspettare con fiducia ed ottimismo i risultati degli studi in corso, che mi auguro vengano resi disponibili in tempo per poter affrontare con maggiore tranquillità ed un arsenale terapeutico “rinnovato”, la prossima stagione autunnale ed invernale.


(https://www.webmd.com/vaccines/covid-19-vaccine/news/20220509/nasal-sprays-for-covid-vaccine-being-developed).


venerdì 13 maggio 2022

FARMACI RADIOATTIVI MIRATI (RADIOFARMACI) ALIMENTANO SPERANZE PER LA CURA DEL CANCRO (Second Part of Two).



Avevo concluso la prima parte del post dedicato ai farmaci radioattivi mirati o radiofarmaci/radioconiugati (https://ilgeneegoista.blogspot.com/2022/04/farmaci-radioattivi-mirati-radiofarmaci_25.html) constatando come le aziende che stanno studiando i radio-coniugati generalmente prendono in esame due tipi di isotopi: gli “emettitori” α (in grado di emettere particelle Alfa) e gli “emettitori” β (in grado di emettere particelle Beta). Bene, vediamoli.


Gli emettitori α emettono appunto una particella, chiamata particella α, composta da due protoni e due neutroni, essenzialmente un atomo di elio meno i suoi elettroni e sono dotate di un'energia maggiore delle particelle β prodotte dagli isotopi emettitori β, riuscendo a scindere entrambi i filamenti del DNA. Secondo le parole di Chris Orvig, Professore di Chimica e Scienze Farmaceutiche presso l'Università della British Columbia -“rispetto alle particelle β, sono più pesanti e sono dotate di un minore raggio d’azione, rendendo così meno probabile che la radiazione colpisca le cellule sane vicine. Se indirizzate verso un determinato tipo di cancro, quest’ultimo potrebbe subire molti danni preservando, ci si augura, il tessuto sano circostante.”


Per Alonso Ricardo chief scientific officer presso il Curie Therapeutics, l’Attinio-225 è un efficace emettitore α perché è un generatore α atipico dal momento che non emette solo una particella α, ma è in grado di avviare una reazione a catena in cui si formano più emettitori α alla fine della quale rimarrà l’isotopo stabile del bismuto-209. Effettivamente quando ogni molecola di Attinio-225 inizia il proprio processo di decadimento, produce ben quattro particelle α.

I due radioconiugati approvati dalla FDA, Lutathera e Pluvicto, utilizzano emettitori β. Questi espellono particelle β, essenzialmente elettroni, che pur essendo dotati di un'energia inferiore rispetto alle particelle α, hanno un maggiore raggio d’azione pari a circa 2 mm corrispondenti a 75 diametri cellulari. Ah…dimenticavo, riescono a scindere solo uno dei doppi filamenti del DNA.


Quale emettitore è meglio utilizzare? Bhè, la scelta non è certamente casuale. Per fare un esempio, i tumori neuroendocrini saranno trattati con gli emettitori β, dal momento che crescono molto lentamente.

Al contrario il cancro ovarico che è un tipologia di cancro molto aggressivo, riconoscono come miglior scelta terapeutica gli emettitori α. Diciamo che ogni caso è un po a se stante. Scrivendo per ipotesi si potrebbe iniziare il trattamento con un tipo di emettitore e poi passare all'altro nel caso emergesse un meccanismo di resistenza.


Un altro aspetto importante dei radio-coniugati è che possono svolgere un duplice compito: è possibile  inserire un radioisotopo a scopo diagnostico nel coniugato per tracciare le cellule cancerose, per poi utilizzare un’altro un isotopo capace di neutralizzare il tumore.

Tradotto, si avrebbe la stessa molecola targeting, lo stesso linker utilizzato per legare l'isotopo, ma si sostituirebbe l’isotopo terapeutico con quello diagnostico. Non esattamente pizza e fichi eh!?


Proviamo a questo punto allora a mettere insieme i pezzi facendo un pò di ordine.

Comunque la si voglia vedere, in ogni caso, un radio-coniugato deve sempre avere gli stessi quattro componenti di base: l'isotopo radioattivo, un chelante per “aggrapparsi” all'isotopo, un composto bersaglio o target ed un linker per tenere insieme i pezzi. Come è ovvio che sia, un farmaco anti tumorale a base di radioisotopi deve per necessita terapeutica mostrare un certo grado di nocività nei confronti delle cellule tumorali ma questo imprescindibile dato di fatto può anche costituire un problema. Perché?… It’s simple: da un lato si fa il possibile affinché lo ione metallico radioattivo raggiunga il tumore per poi fermarsi bello bello lì, dall’altro si teme che questi se ne vada a spasso indisturbato danneggiando qualcos’altro oltre al tumore. Ed è qui che entra in gioco l'agente chelante.


Oltre a mantenere lo ione radioattivo all’interno di una sorta di protezione, tramite un linker, lo collega al resto della molecola, ma per chi “progetta” l’intero impianto può diventare difficile non interferire con la funzione generale del radio-coniugato, ad esempio diminuendo, proprio grazie all’utilizzo del chelante , l’affinità nei confronti del target.

Un ulteriore problema da tenere bene a mente quando si parla di un agente chelante è legato all'enorme dimensione dei radioisotopi. Gli elementi metallici radioattivi più comunemente impiegati sono l’Attinio-225 ed il Lutezio-177, due veri e propri colossi se si butta lo sguardo in fondo alla tavola periodica. Senza scordare che sempre sul chelante occorre pianificare la formazione di un punto su cui poter attaccare il linker che collega il radioisotopo al proprio composto bersaglio.


A loro volta i linker devono mantenere all’interno dell’organismo una buona stabilità in modo tale che il componente radioattivo non “scompaia” ma si riversi nel flusso sanguigno ed al contempo però devono essere pronti a rompersi una volta che il farmaco ha indirizzato la sua attività radioattiva all’interno delle cellule tumorali, favorendone così l’espulsione da parte dell’organismo. Ovviamente queste caratteristiche hanno un senso perché se da un lato è vero che si fa il possibile affinché ciò che è stato indirizzato verso il tumore rimanga nel tumore stesso, dall’altro è altrettanto vero che ci si adopera affinché tutto il resto dell’organismo venga ripulito il più rapidamente possibile.

Il composto bersaglio infine può essere grande quanto una proteina intera o piccolo quanto un peptide ma deve essere in grado di individuare i recettori che, per le cellule tumorali, sono unici.

Ultimata la “costruzione” del radio-coniugato. è arrivato il momento di pensare alla…”velocità”. l’Attinio-225 ha un’emivita di 9,92 giorni mentre quella del Lutezio-177 è di 6,65 giorni, per cui una volta unito l’isotopo, il farmaco deve essere portato rapidamente negli ospedali o nei centri di cura, prima che perda la propria attività.


Il “mercato” dei radio-coniugati è tutto fuor che meno un mercato maturo, per cui è decisamente avviato verso un rapido sviluppo. I tempi di carestia sembrano essere lontani e la fornitura di isotopi per la ricerca e la produzione di radio-coniugati dopo anni di scarsa disponibilità, stanno crescendo. Gli isotopi radioattivi per scopi medici non sono propriamente merce reperibile al Supermercato. Possono provenire solo da generatori, ciclotroni, reattori nucleari o da rifiuti radioattivi (a tal proposito dedicherò un post apposito). Sarà pertanto fondamentale garantire una perfetta catena di approvvigionamento dei radioisotopi in modo tale che i radio-coniugati siano messi nelle condizioni di garantire appieno la propria attività terapeutica.  Attualmente sono diverse le iniziative portate avanti sia a livello governativo che da parte delle aziende farmaceutiche che ritengo potranno rendere tutto ciò attuabile concretamente in termini ragionevoli.

Alcuni dei produttori di isotopi radioattivi includono il centro canadese di acceleratori di particelle Triumf, la società di innovazione nucleare TerraPower, fondata da Bill Gates nonché l’attività dell'Oak Ridge National Laboratory negli Stati Uniti.


Concludo con qualche numero, perché spesso aiutano a rendere più chiaro l’intero paradigma. Negli ultimi anni, unendosi a società biotecnologiche e radio-farmaceutiche private e con una lunga esperienza alle spalle nello sviluppo, produzione e fornitura globale di radiofarmaci diagnostici e terapeutici mirati e radioisotopi nel trattamento del cancro, come ITM e Fusion, sono sorte molte piccole aziende dedite allo sviluppo di radio-farmaci in particolare ad emissione di α particelle, tra cui RayzeBio, Curie, Aktis Oncology e Precirix. E gli investimenti non son certo venuti meno dal momento che Curie, ad esempio, è apparsa sulla scena alla fine del 2021 con 75 milioni di $ di finanziamenti, mentre RayzeBio, nel 2020, ha raccolto oltre 250 milioni di $ grazie alla sua fondazione. Oltre a ciò gli investitori del fondo Venture Capital hanno concesso nel mese di marzo a Precirix  88 milioni di $ in finanziamenti.


Tutta questa “fiducia” che si concretizza in importanti riversamenti di denaro, deriva anche dal fatto che ci si è resi conto dell’esistenza di un enorme potenziale “mercato” in cui al trattamento con radiazioni del cancro si possono integrare altre tipologie di farmaci. A ben guardare infatti, se è vero che il meccanismo principale con cui i radio-coniugati aggrediscono il cancro si esplica attraverso un danno diretto in grado di danneggiare il DNA delle cellule cancerose, è tutt’altro che un’ipotesi campata per aria l’idea di combinare, in un prossimo futuro, i radio-coniugati con farmaci capaci di inibire i meccanismi di riparazione del danno subito dal DNA delle cellule cancerose trattate. It’s simple as that…;-))))


lunedì 9 maggio 2022

UN PRIMO EXCURSUS SULLE ARMI CHIMICHE, BIOLOGICHE, NUCLEARI E CON ATTIVITA’ ESPLOSIVA.


Una guerra può essere combattuta in diversi modi, ma se lo scopo è l'uso intenzionale della violenza indiscriminata per generare paura e terrore, non curandosi neppure minimamente anche degli effetti collaterali ci troveremo a dover fare i conti con almeno 4 tipologie di guerre combattute con altrettante tipologie di armi. Quelle chimiche, biologiche, nucleari e quelle ad alto impatto esplosivo.         

In questa prima parte della trattazione, attraverso cinque capitoli sulla base dei possibili agenti chimici impiegati, tenterò di fare chiarezza su alcune tipologie di Armi Chimiche, alias (CW). In seguito ci occuperemo di quelle biologiche, nucleari ed a alto impatto esplosivo.


Durante la prima guerra mondiale vi fu un uso diffuso di armi chimiche che provocò molti morti, sia militari che civili. Le atrocità subite da tutte le parti di questo conflitto portarono al Protocollo di Ginevra del 1925, che proibiva l'uso di armi chimiche e biologiche in guerra. Ciò nonostante, ad esempio, le forze irachene hanno utilizzato neurotossine organofosfate contro diversi obiettivi nel 1987-1988 durante la guerra con la Repubblica islamica dell'Iran su obiettivi sia militari che civili mentre nel 2017 il governo siriano è stato accusato di aver usato agenti nervini e munizioni al cloro contro la città di Khan Sheikhoun nella guerra civile in corso. Senza dimenticare l’impiego di napalm in Vietnam e tabun in Corea da parte dell’Amministrazione USA che di certo, almeno, non potevano essere classificati come “semplici” esplosivi a base di polvere da sparo.


In linea generale le armi chimiche possono essere disperse in forma gassosa, liquida ed anche solida e gli agenti chimici utilizzati sono variamente classificati, per cui, senza avventurarmi in definizioni quali una elencazione affidabile e neutrale, cercherò di fare un debito distinguo proprio sulla base degli agenti chimici impiegati, che già di per se stessi costituiscono un qualcosa di abietto quanto disgustoso e sgradevole. Ed è esattamente lo scopo che mi sono prefisso, dal momento che il disgusto rientra nel novero delle emozioni primarie al pari di paura, rabbia, gioia, sorpresa e tristezza. e che inconsciamente attira l’attenzione come meccanismo di auto difesa da un qualcosa di cui si teme di poter essere “aggrediti”. Il sentiment delle persone viene messo a nudo, e proprio per questo motivo sarebbe auspicabile non scrivere castronerie, soprattutto quando basta un nonnulla per alimentare una generale confusione. Ohibò…che le bombe al fosforo siano considerate, non proprio dal primo venuto, armi chimiche non vi suggerisce nulla?  Ma tant’è!


Agenti Soffocanti alias Choking Agents: Gli agenti soffocanti furono impiegati prima dall'esercito tedesco e poi dalle forze alleate nella prima guerra mondiale. Il primo uso massiccio di armi chimiche in quel conflitto avvenne quando i tedeschi rilasciarono il cloro sotto forma di gas riversando migliaia di bombole lungo un fronte di 6 km (4 miglia) a Ypres, in Belgio, il 22 aprile 1915. Il Cloro infatti può essere pressurizzato e raffreddato per essere trasformato in un liquido adatto ad essere trasportato ed immagazzinato. Quando il Cloro liquido viene rilasciato, si trasforma subito in un gas a rapida dispersione che rimane sospeso a pochi metri dal suolo ( https://www.britannica.com/science/chlorine). Si formò così una nuvola chimica giallo-verdastra dispersa dal vento che aprì una sorta di  grande breccia tra le linee delle unità francesi e algerine che ovviamente si ritrovarono impreparate. Meno ovvio che lo fossero stati anche i tedeschi che non furono in grado di  sfruttare l'apertura, dando così il tempo a francesi e algerini di portare nuovi rinforzi sulla linea del fuoco. Nel tempo e con il proseguire del conflitto iniziò una gara a chi avrebbe padroneggiato al meglio le nuove tecniche per l’utilizzo di agenti soffocanti promuovendo al contempo l’impiego di più o meno adeguate misure protettive.


Oltre al Cloro, tra gli Agenti Soffocanti maggiormente impiegati, si annoverano, Cloropicrina (PS), Difosgene (DP), Fosgene (CG) responsabile di circa l'80 per cento di tutti i decessi causati dalle armi chimiche durante la prima guerra mondiale, Ossidi di Azoto (NO), Anidride Solforosa (SO2), Etildiclorasina e Perfluoroisobossilene. 

Detta qualcosina a proposito del Cloro, due paroline possono anche essere spese per il Fosgene (CG) e la Cloropicrina (PS).


Il primo venne sintetizzato per la prima volta nel 1812 dal medico e chimico britannico John Davy. Fin da subito fu considerato un componente importante per la produzione di coloranti e pesticidi.

Durante la prima guerra mondiale però, il fosgene assurse alla ribalta poiché venne proposto come una sofisticata alternativa al gas cloro. Al contrario di questo, provocava una minor tosse, favorendo conseguentemente una maggiore possibilità di poter essere inalato. In ambito militare si giunse anche alla formulazione della cosiddetta miscela  conosciuta con il nome di “stella bianca”,  costituita da volumi uguali di cloro e fosgene, in cui il cloro aiuta a diffondere il fosgene che pur essendo più denso può risultare estremamente più tossico. Più recentemente, durante la guerra civile dello Yemen del Nord del 1962-1970, anche i soldati egiziani hanno impiegato bombe e proiettili di artiglieria al fosgene contro civili yemeniti e truppe militari.

Il chimico scozzese John Stenhouse invece, sintetizzò per la prima volta la cloropicrina nel 1848. Sebbene non letale come altri agenti soffocanti, la cloropicrina, che può essere utizzata anche come agente antisommossa, provoca vomito grave ed eccessiva lacrimazione. Nel 1917 le truppe tedesche usarono proiettili alla cloropicrina contro i soldati italiani, aggiungendo occasionalmente fosgene per lanciare attacchi in grado di indurre pesanti danni. Fedeli al passaggio del Vangelo in cui si suggerisce  “porgi l’altra guancia”, le forze alleate reagirono formulando un proprio cocktail a base di cloropicrina e acido stannico che, in quanto a creare voluminose nubi di gas tossico lungo le linee nemiche, non ha certamente sfigurato.


In generale comunque, gli agenti soffocanti possono agire sia in forma liquida che gassosa o aerosolizzata. Nella loro forma gassosa, agiscono principalmente irritando, aggredendo le mucose, il naso, la gola, le vie aeree ed i polmoni, sino ad indurre anche la formazione di un edema. E questo perché l’agente tossico, attivando il sistema immunitario, provoca l'accumulo di liquidi nei polmoni, che possono causare la morte per asfissia o manifestare una marcata carenza di ossigeno nel caso i polmoni fossero gravemente danneggiati. L'effetto, una volta che un individuo risulta esposto può essere immediato o richiedere fino a tre ore per manifestarsi con chiarezza. 


A voler essere pignoli, possiamo ulteriormente fare alcuni distinguo. Il gas sviluppato dal cloro, ad esempio, essendo a temperatura ambiente denso, verdastro e relativamente insolubile in acqua, se inalato, innesca una reazione per cui l'acqua contenuta nel nostro corpo riesce ad ossidare il gas di cloro per produrre acido ipocloroso (HClO). L’HClO penetra nelle cellule e interferisce con le proteine sino a degradare le strutture cellulari. 

La cloropicrina, invece, è un liquido incolore, altamente volatile e con un caratteristico odore particolarmente acuto. Quanto potente ossidante, è in grado di reagire velocemente con l’alluminio, il magnesio e le leghe a questi associate, producendo un gas tossico e corrosivo mentre il fosgene,  incolore come la cloropicrina, pur essendo un gas viene spesso trasportato in forma liquida con il rischio che possa entrare in contatto con la pelle o gli occhi.

Il fosgene liquido reagisce fortemente in presenza di acqua e ammoniaca per produrre rispettivamente acido cloridrico o urea. Fortunatamente evapora rapidamente dalla pelle, consentendo così un'efficace decontaminazione con l'acqua.


Sintomatologicamente infliggono lesioni principalmente alle vie respiratorie, irritando il naso, la gola e soprattutto attaccano il tessuto polmonare ed in particolare gli alveoli, causando principalmente costrizione toracica, irritazione cutanea, laringospasmo, irritazione delle mucose, mancanza di respiro, respiro sibilante ed infine edema polmonare. Sebbene gli agenti soffocanti siano destinati ad essere più “debilitativi” che letali, dosi molto elevate di cloro, fosgene o cloropicrina possono causare una morte rapida. L'esposizione a 1000 ppm di cloro, ad esempio, è fatale dopo poche profonde inalazioni. Gli aspetti medici da gestire in caso di esposizione, non sono certamente pochi e dipendono dalla gravità del quadro clinico. Occorre innanzitutto gestire al meglio le copiose secrezioni, somministrare il prima possibile l’ossigeno e nei casi più gravi intubare il paziente per trattare l'edema polmonare con la ventilazione meccanica (anche non invasiva) applicando un livello di PEEP correlato alla gravità della ARDS (cioè una PEEP più bassa nella ARDS lieve ed una più elevata nella ARDS grave) per mantenere una pO2 superiore a 60 mm Hg. Nel caso di esposizione agli NO l’impiego di steroidi ad alte dosi per il trattamento dell'edema polmonare è fondamentale.


Un aspetto da non sottovalutare è quello della “decontaminazione”, parimenti importante rispetto al trattamento medico.

Rappresenta un passaggio fondamentale per mitigare gli effetti degli agenti soffocanti. Coloro che entrano in contatto fisico con cloro, fosgene o cloropicrina dovrebbero togliersi immediatamente i vestiti, assicurandosi di tagliare gli indumenti contaminati. Gli indumenti devono quindi essere sigillati in sacchetti di plastica per l'ispezione e la rimozione da parte delle autorità sanitarie. Gli individui esposti dovrebbero anche sciacquare la pelle con acqua e sapone, rimuovere i gioielli e smaltire le lenti a contatto.

A scopo preventivo, una buona maschera antigas protettiva rappresenta la migliore difesa contro gli agenti soffocanti.


Nel prossimo post dedicato, prenderemo in considerazione un’altra tipologia di Armi Chimiche, ossia quelle che utilizzano gli Agenti Blister. 


giovedì 5 maggio 2022

UNA TIRATINA D’ORECCHIE DI CUI SENTIREMO ANCORA PARLARE


Non c’è alcun dubbio che l’antivirale di casa Pfizer Paxlovid, per il trattamento domiciliare dell’infezione da SARS-CoV-2 sia stato fortemente caldeggiato dall'amministrazione Biden. La stessa Vicepresidente USA Kamala Harris è stata sottoposta ad un ciclo di trattamento, quando fu necessario farlo.

Secondo la CNBC, sono circa 80.000 i pazienti statunitensi COVID-19 positivi che dal 22 Aprile 2022 hanno ricevuto questo trattamento farmacologico antivirale.Tuttavia nell'ultima settimana sono emerse molte, e personalmente sottolineo inattese, segnalazioni (https://edition.cnn.com/2022/04/27/health/paxlovid-covid-rebound/index.html) di pazienti che hanno mostrato una ricaduta dei sintomi da infezione COVID-19 dopo il trattamento con questo presidio terapeutico orale, non senza suscitare, come ovvio, una certa perplessità nell’ambiente medico. Ad oggi non è chiaro quanti pazienti, esattamente, abbiano subito questo tipo di ricaduta dopo aver completato l'intero ciclo di trattamento.

Quello che emerge è che, nonostante i riconoscimenti, Paxlovid non è così richiesto come sarebbe stato previsto e, proprio a causa di quest’ultimi avvenimenti, tanto per non farsi mancare nulla, sarebbe anche ritenuto inefficace per la protezione antivirale in caso di seconda esposizione.


La tiratina d’orecchie ha origine nel momento in cui, a fronte dei rapporti che hanno segnalato come alcuni pazienti che avevano assunto Paxlovid avevano mostrato una ricaduta ricominciando ad avvertire i sintomi, il CEO di Pfizer, Albert Bourla Ph.D ha dichiarato a Bloomberg (“Pfizer’s Advice for When Paxlovid Isn’t Enough: Take More by Riley Griffin - https://www.bloomberg.com/news/newsletters/2022-05-04/pfizer-s-advice-for-when-paxlovid-isn-t-enough-take-more) che questa particolare tipologia di pazienti avrebbe potuto seguire un secondo ciclo di trattamento parimenti  a "come si fa con gli antibiotici".


Ma da dove arriva questo, per ora, rimbrotto? Dritto, dritto dalla FDA, che dopo aver preso nota di questa possibile ricaduta con tanto di manifestazione clinica, e per nulla d'accordo con il suggerimento proposto, ha deciso di dare un’occhiata più approfondita agli studi clinici, contestando, neppure tanto velatamente, la soluzione proposta da Albert Bourla ed espressa con una lapidaria: ““Paxlovid does what it has to do: It reduces the viral load,” Bourla, Ph.D., told Bloomberg in an interview. “Then your body is supposed to do the job”.


Ma passare da una tiratina d’orecchie ad un sonoro “sberlone”, il passo è breve. E così si è giunti al comunicato redatto da John Farley, M.D., direttore dell'Office of Infectious Diseases (https://www.fda.gov/drugs/news-events-human-drugs/fda-updates-paxlovid-health-care-providers)

secondo il quale: "Non ci sono prove di alcun beneficio in questo momento per un ciclo di trattamento più lungo... o per la ripetizione di un secondo ciclo con Paxlovid in pazienti che, dopo aver completato il normale iter di trattamento, hanno manifestato una ricaduta con sintomi ricorrenti di infezione da COVID-19”.


Pertanto l’antivirale Paxlovid continuerà ad essere prescritto per un ciclo di cinque giorni con la "non autorizzazione “all'uso per più di 5 giorni consecutivi". 


Qualche cosa mi suggerisce comunque di terminare il post con un plausibile…To be continued…


mercoledì 4 maggio 2022

DISPONIBILE IL LIBRO: L'EBOOK DI UN ANNO DI POST 2021/22




L’ebook che raccoglie un anno di post (2021/2022) de Il Gene Egoista è stato completato e da oggi verrà inserito sia per il download che per la consultazione online su alcune piattaforme di libri in formato digitale. E’ con estremo piacere che invito tutti coloro che ne sono interessati, a visionarlo o a scaricarne l’anteprima al seguente link.
https://drive.google.com/.../1BitZFNSSvcMj.../view...
Il formato sfogliabile può essere visualizzato qui: 
https://online.fliphtml5.com/povxz/qill/?1651676839916