PREMESSA: non tutto è no-vax, nel senso più estremista del termine.
Gli storici che si sono occupati dell’evolversi della medicina negli anni, sottolineano come le sacche più radicali di resistenza ai vaccini, si ispirassero sempre a strategie di comunicazione standardizzate ed enfatiche da parte di alcuni personaggi sicuramente dotati di maggior carisma rispetto ala massa, che si adoperavano per convogliare i diversi sentimenti popolari di avversione ai vaccini in un’unica forma di contestazione.
Un esempio di quanto vado scrivendo, si verificò a Montreal, nel 1885, dove, a seguito di una grave epidemia di vaiolo, il Consiglio Comunale della città, rese obbligatoria la vaccinazione, incontrando una forte resistenza, specialmente da parte della popolazione francofona, che sbandierava un “libretto” dai toni fortemente polemici (https://hdl.handle.net/2027/aeu.ark:/13960/t7wm29713 pag. 5-8), scritto dal Dr. Alexander M. Ross, leader di un movimento contro la vaccinazione anti-vaiolosa e che per accrescere la propria autorevolezza e popolarità non esitò ad auto incensarsi come il solo medico in grado di contrastare e mettere in dubbio, l’efficacia della vaccinazione. Salvo susseguentemente essere clamorosamente smentito nei fatti dalle Autorità che rinveniranno sul suo corpo i segni della vaccinazione.
Ad ogni buon conto, questo “libretto”, è ritenuto dagli storici della medicina, un valido esempio di contenuti cavillosi quanto ingannevoli, che tendono ad essere utilizzati e ripetuti negli anni (https://theconversation.com/covid-19-anti-vaxxers-use-the-same-arguments-from-135-years-ago-145592), dagli ambienti contrari ai vaccini e che si possono riassumere nei seguenti punti:
Minimizzare il rischio di una malattia.
Affermare che il vaccino causi la malattie, o sia inefficace o peggio, entrambe le cose.
Dichiarare che la vaccinazione rientra nei piani di una cospirazione più ampia.
Citare autorità “alternative” che possano legittimare le tesi sostenute.
Su quest’ultimo punto è utile qualche delucidazione. il movimento anti-vaccino, più radicale ha una lunga tradizione nel conferire il titolo di "esperti" a coloro che sostengono quel genere di tesi e peggio ancora, nell’estrapolare al di fuori del reale contesto, frasi di terzi. Durante il 19° secolo, i dibattiti sulla vaccinazione hanno spesso visto il contributo di una ristretta cerchia di medici che denigravano la vaccinazione, definendola una pratica "sporca" e "cattiva" (https://www.cambridge.org/core/journals/medical-history/article/politics-of-prevention-antivaccinationism-and-public-health-in-nineteenthcentury-england/160A0FE00C0D60AC0AF87DCC3D444523), sebbene le loro argomentazioni fossero costantemente confutate da evidenze incontrovertibili prodotte a confutazione dalla Comunità Scientifica Internazionale anche se nell'era moderna dei media e delle piattaforme digitali, le strategie di disinformazione si fossero evolute ed ampliate. (https://www.academia.edu/40375658/Evidence_based_strategies_to_combat_scientific_misinformation).
Ne costituisce un esempio pratico il caso dell'ex medico ormai screditato, Andrew Wakefield, postosi a capo del moderno movimento anti-vaccinista che pubblicò uno studio successivamente definito “fraudolento” che collegava il vaccino MMR (morbillo, parotite, rosolia) all'autismo. ( https://www.bmj.com/content/342/bmj.c7452 ).
Ora, se ci catapultiamo, nella realtà attuale, cosa riferiscono i medici addetti alle vaccinazioni anti-Covid? Riferiscono che molto spesso si imbattono in persone “riluttanti” alla vaccinazione, ma semplicemente indecisi, perché frastornate da messaggi comunicazioni spesso discordanti, informazioni scientifiche spesso approssimative ( vedi testate giornalistiche ed interessi politici ) e da decisioni politiche francamente discutibili. Si tratta di persone che legittimamente nutrono qualche dubbio, specifico e ben definito, e che sono alla ricerca di una risposta esaustiva, credibile e coerente e non sicuramente annoverabili tra i gruppi più radicali e compatti degli ambienti “no-vax”.
Un esempio? Nel periodo in cui non esisteva ancora alcun vaccino contro il Sars-Cov-2, il Dr Paul Allan Offit, direttore del Centro di vaccinazione dell’ospedale pediatrico di Philadelphia, intervistato sul tema vaccini dichiarava: “ Se mi chiedeste ora se io sia disposto a fare un vaccino anti COVID-19, la mia risposta sarebbe “no finché non avrò visto i dati “. ( https://www.theguardian.com/society/2020/aug/30/how-the-race-for-a-covid-19-vaccine-got-dirty ).
Secondo Bernice Hausman, capo del Dipartimento di scienze sociali al Penn State College of Medicine in Pennsylvania, e autrice del recente libro ” Anti/Vax: Reframing the Vaccination Controversy “ uno dei motivi importanti per considerare nel modo più appropriato e completo possibile, lo scetticismo di molte persone – non necessariamente no vax – quando si parla di vaccino, è capire che quasi sempre a fomentare quell’esitazione non è un problema solo di informazione bensì di mancanza di fiducia.
Come chiarisce la stessa Hausman: “mentre la gran parte degli esperti in sanità pubblica e scienziati, si concentra nello spiegare alla popolazione i benefici generali derivanti dall’impiego dei vaccini, le persone non valutano un eventuale problema derivato dal vaccino a livello di popolazione, bensì lo valutano sulla propria persona. Per questo motivo è importante comprendere le ragioni profonde e specifiche alla base delle singole preoccupazioni”. (https://www.theguardian.com/society/2021/jan/26/could-understanding-the-history-of-anti-vaccine-sentiment-help-us-to-overcome-it).
Ed ancora, nel suo libro intitolato “Stuck: How Vaccine Rumors Start ― and Why They Don't Go Away”, l’antropologa americana Heidi Larson, coordinatrice del progetto per contrastare la disinformazione circa i vaccini denominato Vaccine Confidence Project, sostiene che “il successo di una campagna vaccinale è in larga parte fondato sulla solidità di un contratto sociale tra le persone. Un contratto sociale troppo spesso dato per scontato, in cui vaccinarsi sarebbe un atto banale come lavarsi il viso ogni mattina. Non è così! Perché l’adempimento di quel contratto è oggi minato dalla realtà in essere di un contesto più ampio in cui prevalgono sentimenti di anti-globalizzazione, nazionalismo e populismo”. La stessa Larson, continua poi, in una intervista a ribadire come “il cercare una cooperazione ed un dialogo siano ovviamente auspicabili, ma farlo contando solo sulla comunicazione corretta dei fatti non sia sufficiente. I dati che dimostrano la validità e l’efficacia dei vaccini sono innumerevoli, ciò nonostante le informazioni sulla rete ed attraverso altri canali mediatici, si mescolano senza alcun criterio distintivo a elenchi più o meno dettagliati di rischi reali o percepiti, varia aneddotica ed esperienze personali o riferite”.
Citando l’epidemiologo australiano Stephen Leeder, sempre la Larson conclude dicendo: “I fatti non vengono rifiutati perché sono considerati sbagliati, ma perché sono ritenuti irrilevanti. Per questo motivo occorrerebbe privilegiare più le storie personali che le statistiche”. (https://www.newscientist.com/article/mg24833090-300-vaccine-misinformation-can-be-fatal-how-can-we-counter-it/).
Ovviamente c’è anche chi, come il giornalista britannico Toby Young, nell’articolo https://www.spectator.co.uk/article/The-dangers-of-censoring-anti-vaxxers, sostiene la tesi opposta, ossia che appellarsi ai sentimenti ed alle emozioni avvalendosi di aneddoti per rassicurare le persone che hanno riserve sul vaccino sia un’operazione controproducente.
Tutto questo comunque, mi allontana dal presupposto con cui ho iniziato a scrivere il post, e per il quale mi auguro di essere stato il più obiettivo possibile.
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