venerdì 15 luglio 2022

“MR. STEVE JOHNSON” E DECENNI DI PILLOLE DIMAGRANTI IMPERFETTE (parte seconda)

Tutta la storia che accompagna lo sviluppo dei farmaci dimagranti è piuttosto burrascosa. Fin dall’inizio, le varie molecole che si sono succedute sono state prese a “martellate” da tutta una sfilza di effetti collaterali che, quando girava bene, si fermavano ad attacchi ipertensivi, e quando girava male, poteva scapparci anche il morto. 

I primi problemi iniziarono già negli anni '30, quando il 2,4-dinitrofenolo (DNP), un composto chimico industriale  che agisce come un disaccoppiatore mitocondriale capace di interferire con le reazioni che creano e immagazzinano energia nei nostri corpi, fece da apripista in quella che sarebbe stata una lunga corsa nell’individuare sostanze chimiche per dimagrire. E questo perché senza un posto dove andare, l'energia veniva rilasciata sotto forma di calore, portando alla perdita di peso. Porta oggi e porta domani, porta a destra e porta a manca, in men che non si dica si capì che poteva portare però anche ad aumenti incontrollati della temperatura corporea, motivo per cui il farmaco non fu approvato dalle autorità di regolamentazione. In un mondo globale dove nel deep web trovi dai Kalashnikov ai carri armati, vorrete mica pensare che a qualcuno potesse sfuggire l’opportunità di acquistarlo sia pure illegalmente? No di certo!!! E così, a umma umma tra il 2001 ed il 2010 più di una dozzina di persone ci “lasciarono le penne” dopo aver acquistato ed assunto il DNP, incluso un ragazzo di 28 anni che usava la sostanza per “mettere in risalto”i risultati ottenuti praticando il suo sport preferito, il bodybuilding ma la cui temperatura interna raggiunse i 41° C (106 ° F).


Negli anni '60, la fantasia probabilmente iniziava a volare piuttosto rasoterra e la maggior parte dei farmaci dimagranti approvati dalla FDA derivavano tutti dall'anfetamina, noto anoressizzante. Una di quelle pillole, la fentermina, è tutt’ora ampiamente prescritta, e le persone che l’assumono in media perdono tra il 5 ed il 10% del loro peso iniziale. Il tallone d’Achille di questa classe di farmaci è che può creare dipendenza e causare un aumento della pressione sanguigna assolutamente rilevante e pericolosa, indi per cui, perciò, percome questi farmaci possono essere assunti solo per poche settimane e nemmeno a cuor leggero.


“Se di maggio rasserena, ogni spiga sarà piena; ma se invece tira vento, nell'estate avrai tormento” ed il tormento sotto forma di carestia verso i nuovi farmaci dimagranti si protrasse lungo il ventennio '70 ed '80 per concludersi, si fa per dire, nel 1996, quando la FDA approvò la dexfenfluramina come versione “top di gamma” rispetto alla precedentemente approvata fenfluramina tra i farmaci dimagranti.  Entrambe le molecole rientravano nella classe di farmaci definiti come inibitori dell'appetito e chiamati, dal momento che agiscono abbassando la quantità di serotonina nel cervello, anoressizzanti serotoninergici. 


Prima di arrivare a questa approvazione, molti medici, soprattutto statunitensi, utilizzarono piuttosto a manetta una combinazione di fentermina con la fenfluramina, nota come Fen-Phen, senza che comunque questa avesse mai ricevuto l’ok da parte dell’FDA.

Ma poi arrivarono segnalazioni di danni alle valvola cardiache per cui nel 1997, l’FDA bocciò questa associazione. E da lì in avanti, per i farmaci dimagranti, fu come andare in giostra sulle montagne russe, tra approvazioni e ritiri. Qualche esempio?

Meridia (sibutramina) è stata approvata dalla FDA nel 1997 e poi ritirata dal commercio nel 2010 a causa di effetti collaterali che includevano un aumentato del rischio di infarto;

Rimonabant, il primo antagonista dei recettore del cannabinoide del tipo 1 (CB1), approvato in Europa nel 2006 ma ritirato 2 anni dopo a seguito di una controversa correlazione con disturbi psichiatrici e tentativi di suicidio;

Belviq (lorcaserin), una piccola molecola che stimola un recettore della serotonina, ritirata nel 2020 dopo 8 anni di commercializzazione a causa del rilievo di una maggiore incidenza di casi di cancro.


Ovvio quindi che per un lungo periodo di tempo, investire in questo settore è stato considerato dalle aziende farmaceutiche un azzardo, tenendo conto anche del fatto che, per tutto quanto riassunto in breve prima, l’asticella normativa per l’approvazione dei farmaci dimagranti, è stata alzata di parecchio. Oggi, oltre a dover dimostrare una significativa efficacia per l’indicazione proposta unita al mantenimento per un anno di una perdita di peso pari al 5-10% del peso iniziale, vengono anche richiesti dall’FDA gli studi a lungo termine incentrati su sicurezza e tollerabilità.


Cose che capitano, soprattutto quando, passando da uno schema di trattamento che prevede una posologia con copertura tutto sommato limitata nel tempo, ci si catapulta nell’utilizzo cronico del farmaco. Un “salto” che si concretizzò nel 1999 per un nuovo farmaco chiamato Xenical (orlistat), una sorta di “blocca grassi alimentari” che agisce nel tratto gastrointestinale inibendo in modo selettivo le lipasi intestinali ( gli enzimi che potendo digerire i grassi ne favoriscono l’assorbimento). Questa molecola, fu infatti la prima di una lunga serie, a poter essere assunta ad andamento pressoché cronico, sebbene potesse causare, tra gli effetti collaterali, una fastidiosa diarrea : https://cen.acs.org/articles/95/i13/Hungering-obesity-treatments.html


E la storia…non finisce qui.


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