Con la pandemia da Sars-CoV2, si è spesso parlato di “effetto harvesting”, un fenomeno che merita un minimo di spiegazione in modo da poter avere le idee più chiare sull’argomento.
Molto semplicemente, l’“effetto harvesting" si correla con lo sviluppo dei modelli di diffusione e di impatto relativi ad un'epidemia. L’origine di tale definizione nasce dalla similitudine per cui durante un'epidemia le persone più vulnerabili o deboli (in sintesi le popolazioni più a rischio, come ad esempio gli anziani o le persone con malattie croniche preesistenti) sono maggiormente esposte al rischio di andare incontro a morte prematura con conseguente riduzione temporanea del numero dei soggetti suscettibili all'infezione e, di conseguenza, a una diminuzione dei casi all'interno della popolazione durante la fase successiva dell'epidemia. Tuttavia, questa diminuzione è solo temporanea, poiché quando l'effetto dell'epidemia si attenua e il numero di soggetti suscettibili aumenta nuovamente, l’epidemia può tornare a diffondersi rapidamente, portando ad un aumento delle infezioni e dei casi.
Ecco perchè si ricorre all’espressione "mietitura" (appunto la traduzione del termine harvesting) di quelle stesse persone che sarebbero comunque decedute anche in assenza dell'epidemia. In altre parole che cosa accade? L’epidemia accelera o amplifica lo sviluppo delle patologie pregresse già in atto, portando ad un aumento del numero di decessi in un periodo di tempo relativamente breve.
Per essere più chiari, ciò che spesso si osserva nel corso di un'epidemia è un aumento dei casi durante un determinato periodo di tempo, seguito da una sua temporanea diminuzione. Tuttavia, dopo questa diminuzione, si verifica spesso un secondo picco che può essere più grave del primo a cui, appunto, si attribuisce il termine di “effetto harvesting”. Questo fenomeno si manifesta per effetto del risultato combinato di una serie di fattori quali i tempi di incubazione della malattia, il periodo di tempo tra l'esposizione e lo sviluppo dei sintomi, nonché il modo in cui le persone interagiscono e si comportano durante l'epidemia.
In altre parole, il suo impatto sui dati epidemiologici si traduce nel fatto che le persone che sarebbero morte a breve termine per altre cause, come malattie croniche o condizioni preesistenti, potrebbero essere erroneamente conteggiate come vittime dell'epidemia in corso. Ciò, evidentemente, può portare ad un apparente aumento dei tassi di mortalità durante l'epidemia in questione. Questo effetto si verifica quindi con una modalità per cui l'epidemia può accelerare la mortalità delle persone già debilitate, rendendo così difficile distinguere tra casi direttamente imputabili all’epidemia e quelli che sono soltanto "accelerati" da essa.
Quello su cui spesso non ci si sofferma a considerare abbastanza è che questi fattori possono creare un ritardo nel rilevamento e nella segnalazione dei casi, portando ad una diminuzione (solo) temporanea nel numero di casi segnalati. Ed ecco la possibilità concreta di cascarci con tutte le scarpe dal momento che l'epidemia può sembrare meno severa di quanto sia in realtà, poiché colpisce principalmente coloro che hanno già una salute compromessa.Tuttavia, con il passare del tempo però, ciò può anche comportare un accumulo di casi non rilevati che si manifestano successivamente, come già detto, sotto forma di un secondo picco.
Da qui l’importanza di prendere seriamente in considerazione l'effetto harvesting durante la gestione di un'epidemia, in modo da adottare misure adeguate per prevenire la diffusione del contagio e controllare la malattia anche nella fase successiva, quando cioè il numero di casi può aumentare.
Detto e chiarito quanto sopra mi sembra assai chiaro che tale fenomeno rifletta l'importanza di considerare attentamente i dati epidemiologici per comprendere appieno l'impatto di un'epidemia e prendere decisioni fondamentali per le misure di controllo e la gestione delle risorse sanitarie durante un tale periodo critico.