lunedì 9 ottobre 2023

FARMACI GENERICI: TRA FALSI MITI FALSE VERITA’ ED IMPRECISIONI. (3)




I primi due post proposti sull’argomento farmaci originatori /farmaci generici, sono ovviamente supportati da alcuni “esempi pratici”. Penso che a molti il nome Peter Baker, non dica nulla. Attualmente è Presidente della Live Oak Quality Assurance LLC, con una consolidata esperienza nel miglioramento della qualità dei farmaci unita alla sorveglianza sull’integrità dei dati.


Esperienza maturatane nel corso di 11 anni di ispezioni per conto dell’FDA di cui 7 lavorando in India, Cina e Cile. Sei mesi dopo l'inizio del suo mandato come ispettore, Baker si recò in uno stabilimento dell’azienda indiana Wockhardt ad Aurangabad che produceva circa 110 farmaci generici per il mercato farmaceutico americano per certificare che lo stabilimento fosse conforme alle normative FDA note appunto come Pratiche di Buona Fabbricazione. Già al secondo giorno di ispezioni sorprese un dipendente che cercava di eliminare un sacco della spazzatura pieno di documenti. Questi documenti costituivano la prova materiale che l’Azienda aveva consapevolmente rilasciato sul mercato indiano e su altri mercati esteri fiale di insulina contenenti frammenti metallici apparentemente provenienti da una macchina sterilizzatrice difettosa la stessa con cui era stato prodotto anche un farmaco iniettabile per la cura di patologie cardiache. (https://www.fiercepharma.com/manufacturing/fda-bans-a-third-wockhardt-plant - https://www.fiercepharma.com/manufacturing/wockhardt-u-s-plant-nailed-by-fda-a-warning-letter - https://www.fiercepharma.com/manufacturing/fda-issues-untitled-letter-to-wockhardt-s-new-sterile-injectables-plant).


Nei cinque anni successivi, prima in India e poi in Cina, scoprì frodi o pratiche fasulle in quasi i quattro quinti degli stabilimenti farmaceutici da lui ispezionati. Alcuni stabilimenti utilizzavano laboratori “fantasma”, riproducevano segretamente test con annessa alterazione dei risultati sviluppando dati falsi che fondamentalmente travisavano la qualità dei farmaci, quindi presentavano tali dati alle autorità di regolamentazione .

Nel corso dei 27 mesi trascorsi in India, dei 38 stabilimenti farmaceutici che ha ispezionato, Peter Baker ha scoperto dati fraudolenti o fasulli in ben 29 di questi. Quando successivamente nel febbraio 2015  si è trasferito in Cina, ha rilevato frodi e inganni simili in 38 dei 48 stabilimenti farmaceutici da lui ispezionati. 

Risultato? Un tale comportamento contribuì a far sì che farmaci generici contenenti impurità tossiche, ingredienti non approvati o assolutamente non conformi fossero fruibili dagli ignari pazienti statunitensi.


In conclusione, un farmaco sarà OK a patto che venga prodotto in conformità alle Good Manufacturing Practices. In caso contrario uscirsene con l’immancabile frase “ma clinicamente “funziona” equivarrebbe a non vedere oltre il proprio naso.

Ripetute Warning Letters da parte degli Enti Regolatori, dovrebbe chiudere definitivamente ogni tentativo di produzione per quei farmaci sviluppati da quelle aziende destinatarie dell’Allert. Purtroppo, per tutta una serie di motivi già elencati, a volte si “preferisce” fare orecchie da marcante” come se non fosse accaduto nulla.


FARMACI GENERICI: TRA FALSI MITI FALSE VERITA’ ED IMPRECISIONI. (2)





Per chi non ne ha mai visto uno, come ve lo immaginate un impianto industriale occidentale di sintesi di API (principi attivi farmaceutici)? La fotografia postata, sia pure con tutti i limiti, potrebbe aiutare a renderne un’idea. Come funziona? Innanzi tutto la gestione è ad appannaggio di ingegneri chimici, non senza l’indispensabile apporto dei chimici farmaceutici (Medicinal Chemists) e dei chimici di processo (Process Chemists) con i quali molto spesso, sia pure con i dovuti distinguo tra le due figure, esistono inevitabili divergenze a proposito dello “scale-up” ossia la metodica per passare da un processo di fabbricazione/sintesi iniziato in laboratorio utilizzando quantitativi dell’ordine di mg/g ad una vera e propria produzione “industriale” attraverso il passaggio a kilolab (ambienti di laboratorio che utilizzano grandi reattori per produrre quantità nell’ordine di chilogrammi di materiale o farmaco) oppure su un impianto pilota.


Sia i Medicinal Chemists che i Process Chemists ricoprono un ruolo fondamentale ed è opportuno chiarire le differenze per comprendere il “dietro le quinte” del capitolo “generici”. I Medicinai Chemists si dedicano alla sintesi  di composti appropriati ( da un punto di vista quantitativo si tratta, come già detto, di mg/g ) seguendo una valutazione biologica e applicata su modelli animali che possano in seguito essere tradotti in un farmaco sicuro ed efficace. Ai Process Chemists invece tocca l’onere di mettere in pratica quest’ultimo passaggio dal momento che sono coloro con le maggiori competenze per lavorare attorno a quei reattori. 


Trasferire quanto prodotto in laboratorio dal Medicinal Chemists ad un impianto pilota (ovviamente una scala ridotta dell’intero impianto di produzione) è tutto fuorché uno scherzo dal momento che occorre perfezionare tutti quegli elementi che sono alla base dell’iniziale processo di sintesi dell’API quali: formule e pesi molecolari, rese, materie prime, temperatura, solventi, reagenti, impurezze da rimuovere ecc. passando dalla produzione nell’ordine di milligrammi o grammi ai kilogrammi o ai quintali cosa che accade molto più raramente di quanto si sia abituati a pensare. Perché?…Semplicemente per il motivo che dietro a tutto ciò che in laboratorio filava tutto liscio può manifestarsi un’incognita non prevista ed inciampare in un intoppo (sette/otto volte su dieci) è questione di un nonnulla.

E questa consapevolezza rappresenta il motivo per cui a volte emergano tra le due categorie delle più che ovvie “divergenze”.

Il fine ultimo resta comunque l’acquisizione di un buon rendimento unito alla migliore riproducibilità possibile del processo mantenendo i massimi criteri di sicurezza, affidabilità e benefici economici.

Insomma, un insieme di passaggi non scontati  soprattutto quando si parla di brevetti…brevetti scaduti.


Già!!! Perchè esaminando il brevetto, quanto prodotto dai Medicinal Chemists che hanno lavorato sul farmaco originatore ossia la sintesi su piccola scala vien fuori e non sarebbe adeguato iniziare a produrre a manetta da parte di un genericista 

senza un passaggio di tutte le componenti tecnologiche messe a punto dall’impianto dell’originatore a meno di non sviluppare daccapo l’intero processo produttivo. E come scritto nella prima parte del post (https://ilgeneegoista.blogspot.com/2023/10/farmaci-generici-tra-falsi-miti-false.html) la compliance cGMP ossia le Current Good Manufacturing Practices o Pratiche di Buona Fabbricazione è “assicurata” a partire dall'autorizzazione condizionata delle aziende a garantirla e dalle ISPEZIONI (FDA/EMA) con tutti i limiti del caso di cui ho già scritto. Per chi pensasse che in fondo il tutto si traduca in un ammasso di carta, rammento che c’è “carta e carta”.


Siamo sempre lì….la frase “il fine giustifica i mezzi” attribuita a Machiavelli si rispolvera tradotta nel suo significato più becero allorquando il fine è dato dal taglio della spesa farmaceutica mentre il mezzo è rappresentato da qualsiasi cosa sia adatto allo scopo costi quel costi ed “imposto” a livello normativo.

Non a caso la direttiva 2004/27/CE riteneva idonea l’autocertificazione di conformità alle Norme di Buona Fabbricazione

per avere il via libera all’importazione da parte delle Industrie produttrici di API operanti al di fuori dell’Unione Europea (leggasi Cina o India ad esempio) mentre la produzione occidentale di farmaci generici continuava a richiedere un attento monitoraggio attraverso le ispezioni. Come non bastasse nel 2011 venne emanata un’ulteriore direttiva europea secondo la quale l’equivalenza degli standard produttivi rispetto a quelli europei poteva essere garantita da una semplice attestazione rilasciata dalle National Health Authority dei Paesi extra europei. Cribbiolina che tutela della salute pubblica!!!

Quanto alla sola Italia, avete presente la conversione in legge, con le modifiche del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179, recante ulteriori misure urgenti per la CRESCITA del Paese operata durante il Governo Monti che obbligava a mio avviso più che discutibilmente la dicitura del principio attivo in ricetta? Bene!!!…Anzi no! Ah beh già, scordavo la sostenibilità della spesa ;).

Tutto ciò difatti è traducibile in numeri allorquando vien fuori che i farmaci generici con il loro 25% di quota di utilizzo impattano sulla spesa per un 10% non scordando che i farmaci con brevetto scaduto rappresentano un buon 70% del consumo farmaceutico pari al 50% della spesa. Capita l’antifona?


lunedì 2 ottobre 2023

FARMACI GENERICI: TRA FALSI MITI FALSE VERITA’ ED IMPRECISIONI. (1)


Pare proprio che a volte i nodi vengano al pettine. Qualche cosa l’avevo già anticipata qui e potrebbe essere utile leggerlo o rileggerlo per chi lo avesse già fatto a suo tempo: https://ilgeneegoista.blogspot.com/2023/01/gmp-queste-sconosciute-ed-i-generici.html .

Mi viene in mente una conversazione telefonica avuta un paio di giorni fa con un carissimo amico che mi faceva notare come, chiedendo al proprio medico di base se avesse notato una qualche differenza tra il classico farmaco “griffato” ed il suo equivalente generico, la risposta fu uno sconcertante…BOH??? Il che a casa mia equivale ad un non lo so e la cosa non mi stupisce affatto dal momento che di media, parliamo di cose che un medico, anche se nota, non segnala (quasi) mai e con lui anche la maggior parte dei pazienti. Eppure il monitoraggio e la rilevazione della relativa risposta farmacologica rientra tra i parametri di una corretta applicazione delle “regole” di farmacovigilanza (https://www.walshmedicalmedia.com/open-access/generic-pharmaceuticals-is-pharmacovigilance-required-2329-6887-2-e124.pdf), e quindi, dando per buona l’interiezione, lascio che ognuno tragga le proprie iniziali considerazioni. 


Ma andiamo con ordine. Come nacque l’industria dei farmaci generici? Sono pressoché convinto che in molti sobbalzerebbero sulla sedia se immaginassero che fu proprio una figura come Gandhi a contribuire al suo sviluppo. Eppure basterebbe leggere l’inizio del libro “Bottle of Lies” di Katherine Eban (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7309676/) incentrato su di un elenco di scandali collegati al mondo dei farmaci generici, per farsene un’idea meno disincantata. L’immagine ritorna al 1939 o giù di li, quando il Mahatma, in visita ai laboratori Cipla di Bombay, incoraggiava il chimico Khwaja Abdul Hamied e la biochimica Sushila Nayar a copiare i farmaci occidentali con lo scopo di renderli economicamente accessibili per l’intera popolazione dell’India. Who would have thought it? Come ovvio, tutto questo rappresenta solo una goccia nel mare di un dibattito e di una battaglia geo-politico-economica molto complessa che iniziò negli anni 60’ e di cui, probabilmente, scriverò, in un altro post. Resta il fatto che proprio a partire da quegli anni, nel divenire, si è arrivati alla alla sperequazione che non vi siano diseguaglianze tra un farmaco “originale” ed un corrispondente generico.


E come potrebbe essere diverso? Ci sono medici che dicono che essendo le molecole uguali, i due farmaci sono uguali e qui mi torna alla mente l’esclamazione finale della pubblicità della Vigorsol gridata a gran voce: “Idioziaaaa!” Almeno la categoria dei farmacisti si spertica con una considerazione aggiuntiva quale la garanzia del mantenimento della bioequivalenza, cosa peraltro corretta se non si trattasse di teoria. Di fatti pare proprio però che la vicenda GVK Biosciences non abbia insegnato nulla (https://www.fiercebiotech.com/regulatory/gvk-feels-sting-after-data-scandal) e mi riferisco a tutta una serie di irregolarità che hanno “messo in dubbio i dati di bioequivalenza utilizzati per supportare le approvazioni europee di un numero imprecisato di farmaci, e per cui alcuni paesi hanno ritirato le loro autorizzazioni all’immissione in commercio” (e da qui la scoperta dell’acqua calda per cui tra la teoria e la pratica c’è di mezzo un abisso). Tanto quanto, per portare un altro esempio la vicenda Ranbaxy Laboratories che “nasce” quando l’ingegnere Dinesh Thakur che tra il 2003 e il 2005 è stato direttore e responsabile delle informazioni sulla ricerca e gestione del portafoglio farmaci presso la stessa Ranbaxy Laboratories decise di “vuotare il sacco” affermando che la prassi aziendale prevedeva che fosse il management a dettare i risultati desiderati e che gli sviluppatori non avevano esitato a “rimodellare” i processi produttivi per raggiungerli. Come ovvio, l’azienda operò in larga misura su quei “mercati” dove la regolamentazione era più lacunosa e quindi il rischio di essere presi con le mani nel sacco ridotto ai minimi termini. Tradotto, nemmeno l’ombra di dati a sostegno di alcune delle domande di autorizzazione di Ranbaxy in quelle Regioni e la logica conclusione fu che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e i Ranbaxy Laboratories annunciarono che la società si era dichiarata colpevole accettando di pagare 500 milioni di dollari per mettere giuridicamente una pietra tombale su tutte le accuse di false dichiarazioni, violazioni di produzione e false dichiarazioni alla Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti.

(https://fortune.com/2013/05/15/dirty-medicine/). 


Tutto ciò ovviamente non si traduce nel fatto che l’intenzione di Gandhi fosse peregrina. Anzi. Piuttosto dimostra come passare dal Purgatorio all’Inferno, sia un attimo. Un modello industriale farmaceutico che nasce con nobili intenzioni per contrastare Big Pharma, finisce con assumerne in peggio i connotati con buona pace dei possibili fruitori (pazienti) e dei vari Enti Regolatori (https://www.thehindu.com/business/Industry/explained-why-are-indian-drugmakers-under-the-lens/article67032025.ece). L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sì stabilito (e alcuni stabilimenti la seguono), una definizione di “buona pratica di gestione” per la produzione di farmaci, ma gli organismi di regolamentazione internazionale fanno una enorme fatica per applicarla. Basti pensare che nel 2020 l’FDA riusciva a malapena ad ispezionare il 10% degli esportatori indiani e cinesi di principi attivi sul mercato statunitense e non penso proprio che l’EMA

navighi in acque migliori.


Che piaccia o meno, molto semplicemente, la chiave di volta per una produzione SICURA è monitorare e controllare attentamente ogni aspetto della produzione dei farmaci e documentare il tutto, per cui il track record* ed il master batch record** non dovrebbero essere documenti TOTALMENTE sconosciuti per chi opera in ambito sanitario. Ma tant’è!!!


PS1: *track record: Ogni Azienda Farmaceutica è caratterizzata da uno storico che ovviamente può essere declinato sotto forma di numeri. Numeri che forniscono un’istantanea che delinea un dettagliato compendio di tutte le attività svolte sino a quel momento e che partendo dai risultati ottenuti in passato permettono di certificare l’intera competenza e professionalità a livello manageriale dell’azienda, rilevando il livello di conoscenza e di esperienza di chi è al timone dell’Impresa. Il track record farmaceutico rappresenta di fatto l’insieme di registrazioni, sistemi e processi che consentono ai produttori di garantire che i loro prodotti siano monitorati in modo sicuro dallo stabilimento di produzione, attraverso la distribuzione, fino allo scaffale della farmacia. 


PS2: **master batch record: un documento che contiene l’insieme di tutte le informazioni possibili necessarie alla produzione di un farmaco annotando in che modo viene realizzato e dettagliando tutte le fasi di produzione. In sintesi le informazioni contenute riguardano: la formula di fabbricazione, l’identificazione del nome del prodotto, il peso la misura ed il conteggio di ciascun componente necessario alla produzione, l’elenco delle attrezzature, dei componenti, la dichiarazione teorica della resa di tutte le fasi del processo produttivo e della conseguente resa attesa del prodotto finito, le informazioni riguardanti la corretta manipolazione dei materiali nonché tutti i ragguagli inerenti la manutenzione, pulizia e sanificazione. Questo documento dovrebbe sempre essere ispezionato dalle autorità regolatorie e permette di operare in accordo ai requisiti delle GMP. Per chi si chiedesse quale sia la differenza tra un master batch record (MBR) ed il batch record (BR) basti sapere che quest’ultimo replica tutte le informazioni dell’MBR ma relativamente ad un solo lotto di produzione. In Italia il sito dell’AIFA ha reso disponibile una sezione sull’argomento apposita. (https://www.aifa.gov.it/ispezioni-autorizzazioni-gmp-materie-prime).