lunedì 30 gennaio 2023

JUDITH C. GIORDAN E QUANTO PUO’ ESSERE COMPLICATO “RAGIONARE” PARLANDO “LINGUE” DIVERSE.

 


Così scriveva Eric Topol circa due anni fa: “Se dovessi scrivere una sceneggiatura su come distruggere la credibilità della scienza, non farei molto fatica dal momento che è già stata scritta e…vissuta”.


Fatta questa debita premessa, l’interesse di J. C. Giordan nei confronti della chimica nacque quando comprese che tutto ciò che ci circonda è composto da atomi e la sua ambizione fu sin da subito quella di risolvere problemi e fornire soluzioni (non chiacchiere). Ora ricopre il ruolo di Presidente dell'ACS 2023 e si è posta un impegno ben preciso: recuperare la fiducia del pubblico nella scienza e negli scienziati. Fiducia…non fede eh!? 

Precisazione d’obbligo, scorrendo tra le righe dell’articolo che ne riporta l’intervista (https://cen.acs.org/acs-news/Judith-C-Giordan-wants-to-create-a-rising-tide-for-chemists/101/i1), dal momento che vi si può leggere: “In passato, si credeva e ci si fidava della chimica e della scienza in generale, e anche se le persone non capivano le sfumature insite in tutto ciò che è scienza, almeno pensavano che non fossero proprio gli scienziati a poter danneggiare il pianeta. Recenti dati del Pew Charitable Trusts e di altre organizzazioni hanno evidenziato che noi, come società, siamo entrati in un periodo in cui le persone non sono più sicure di chi o di cosa dovrebbero fidarsi, e spesso considerano come un dato di fatto inoppugnabile qualsiasi “teoria” che rispecchi le loro  convinzioni ed intuizioni”. Sino a qui una modesta, personale, traduzione, ma cosa accade riportando il testo originale? Detto fatto:  “In the past, chemistry and science in general were trusted and believed in, and even if people didn’t understand the nuances of the science, they at least believed scientists were not out to harm them or the planet. Recent Data from the Pew Charitable Trusts and other organizations have indicated that we, as a society, have entered a period when people are not sure who or what they should trust, and they often embrace as fact any belief that resonates with their own perception and intuition”.


Non occorre essere un madrelingua per rendersi conto che mentre in inglese “trust” si presta ad essere facilmente equivocato, nella nostra lingua la distinzione tra fiducia e fede è assolutamente più netta con conseguente e per nulla improbabile perfetto “problema” gnoseologico per cui per Tizio “credere nella scienza” equivarrà ad AVERNE FIDUCIA mentre per Caio ad averne fede, con i consueti contrasti di sempre. Nel primo caso non si specula a fini propagandistici e per Tizio l’asserzione (contratta) di Orazio “nessuno è tenuto a giurare sulle parole del proprio maestro” non campeggia a caso sullo stemma della Royal Society ma invita a procedere attraverso la critica, la sperimentazione ed il conseguimento di risultati migliori dei precedenti. Nel secondo caso, i disparati Caio di turno, procedono spediti in senso inverso senza porsi minimamente il problema di poter incorrere in inconcludenti quanto pericolosi scivoloni.

E tanto per non farsi mancare nulla, perché rinunciare ai (fortunatamente quattro gatti messi in croce seppur immancabilmente ben “visibili”) Sempronio che, lancia in resta, sottoscrivono, spesso “ad minchiam” (opinione personale) il culto del DUBBIO in perfetto stile b(r)yoblu, che, inutile dire, è tutt’altra cosa se non l’esposizione di un’unica verità, ovviamente la loro, e per proprietà transitiva unica ed innegabile, senza ovviamente capirne una mazza ma confidando nell’immancabile “cugino” di turno. Tanto per essere chiari, quel manipolo di “combattenti” che avanza al grido del …manoncielodicono e del…quei F.D.B.D hanno la cura per il cancro ma la tengono nascosta, ecc ecc. 

In simili condizioni, la vedo dura, ma tanti auguri ugualmente. 


sabato 21 gennaio 2023

GMP, QUESTE (S)CONOSCIUTE… ED I GENERICI SONO UGUALI E FUNZIONANO BENISSIMO A PRESCINDERE. MA ANCHE NO…SOPRATTUTTO IN EUROPA! (Come si salvaguardia la salute del paziente…con tanti saluti al condizionale).


Prendo spunto dalla notizia che l’FDA rifiuta il biosimilare dell’insulina Biocon (una società biofarmaceutica indiana con sede a Bangalore) per problemi riscontrati nei dati e di produzione

(https://www.chemdiv.com/company/media/pharma-news/2023/fda-rejects-biocon-insulin-biosimilar-over-data-manufacturing-concerns/) per chiarire quanto “a farla sempre semplice” cozzi contro il principio di salvaguardia della salute dei pazienti barcamenandosi tra sicurezza ed efficacia dei farmaci per cui tra “originali” e “generici” non ci siano ombre di differenza alcuna. 


Andando con ordine, prima del 2004 in Europa ad esempio, non era possibile utilizzare principi attivi di medicinali che fossero prodotti in assenza di alcuna autorizzazione inerente la struttura produttiva ed ispezione da parte dell’Agenzia regolatoria ( EMA qui da noi o FDA oltre oceano) e che provenissero da aree geografiche al di fuori dell’Europa ed avvallate solo dalle Autorità dei Paesi di origine. Dal 2004 in poi, certamente per omaggiare i gentilissimi produttori a basso costo, tale normativa fu riposta, quatto quatto, in un cassetto.

Ma cosa centra questa premessa con le GMP? Centra eccome, dal momento che con questo acronimo si intende la totalità delle direttive che mettono nero su bianco come viene prodotto un farmaco e come ne viene garantita la qualità. Tradotto, la garanzia di come tutelare sicurezza e salute dei pazienti.

E le GMP entrano in gioco nel momento in cui produttori extra europei esportavano ed esportano tutt’ora i prodotti intermedi in strutture europee dove, in applicazione alle GMP, vengono completate le fasi per passare dall’intermedio al principio attivo farmaceutico finito. Chiaramente, se una eventuale ispezione evidenziasse anomalie del rispetto delle GMP (Good Manufacturing Practice o Norme di Buona Fabbricazione) ci si troverebbe di fronte ad un vero e proprio “reato” con conseguente emissione di una warning letter, che certamente suona come un marchio tutt’altro che edificante. Nel caso di Biocon , la lettera dell’FDA cita la necessità di ulteriori dati e misure correttive presso gli impianti di produzione a Bangalore, in India. Più in particolare, l’Agenzia, dopo 

aver condotto un'ispezione di pre-approvazione del sito in agosto, rileva osservazioni per migliorare le strategie per il controllo microbico, la supervisione della qualità, e la necessità di aumentare l'uso di applicazioni software e strumenti computerizzati per migliorare la valutazione e le indagini del rischio, oltre ad altri aggiornamenti procedurali ed ammodernamenti delle strutture.


Ora, descrivere in poche righe in cosa consistono le GMP in toto non è cosa di poco conto ma tanto per rendere comprensibile il concetto, basti pensare che un elemento imprescindibile è il “batch record” ossia un documento contenente le istruzioni che devono essere seguite durante la produzione dei farmaci. Include informazioni come il nome del prodotto, il peso e il conteggio di ciascun componente nel farmaco, un elenco di tutti i processi, le procedure da seguire, la resa prevista di ciascun lotto, ecc ecc. Insomma,  a prima vista una montagna di fogli o file (che potrebbero essere tranquillamente “alterati”) ma che nel caso delle GMP è un documento analizzato, visto e rivisto da più analisti ed a cui corrisponde un vero e proprio certificato di nascita registrato elettronicamente su un server e sottoposto a certificazione, per cui eventuali “correzioni” balzerebbero immediatamente all’occhio e lo renderebbero nullo.

In più, ad ulteriore garanzia, si aggiungono le Good Documentation Practice che descrivono gli standard in base ai quali “i vari documenti vengono creati e gestiti” .


Ergo, in Occidente, chi non è in grado di garantire la totalità e l’integrità della documentazione, vedrà solo con il binocolo l’autorizzazione a produrre il farmaco dal momento che, per chi non lo avesse ancora ben chiaro, non sono le analisi e qualche dozzina di dossier che contengono informazioni riguardanti aspetti chimico-farmaceutici, pre-clinici e clinici, strutturati secondo un formato standardizzato (CTD - documento tecnico comune) a garantire la bontà del farmaco ma bensì la certezza di una struttura produttiva certificata ed adeguatamente ispezionata oltre al controllo meticoloso e documentato di tutto l’intero processo.


Ed in Europa? Eccoti sfornata così sui due piedi l’immancabile “via di fuga” baldanzosa quanto “cialtrona” e pensata ad hoc affinché i generici possano “eludere” il normale impianto regolatorio, sotto forma del Certificate of suitability to the European Pharmacopeia (è un certificato che attesta la conformità dei principi attivi farmaceutici (API) o degli ingredienti farmaceutici a quella delle regole dettate dalla monografia della Farmacopea Europea). In buona sostanza un documento di cui si può entrare in possesso con quattro analisi messe in croce e che permette a un principio attivo farmaceutico o a una formulazione di circolare nel “mercato” farmaceutico europeo. Con tanti saluti alle GMP!!!