domenica 27 febbraio 2022

CHERNOBYL, I RUSSI CONTROLLANO LA CENTRALE NUCLEARE MA PER GLI ESPERTI CIO’ NON RAPPRESENTA UN PROBLEMA.


L'invasione russa dell'Ucraina ha fatto si che le truppe raggiungessero anche Chernobyl, il luogo in cui si verificò il peggior incidente nucleare al mondo. Ciò ha causato preoccupazioni e dubbi sullo stato del sito e su eventuali rischi connessi. Ma procediamo con ordine:

Cosa è successo a Chernobyl nel 1986? Al momento dell'incidente, a Chernobyl era ubicato il sito di una centrale elettrica sovietica con quattro reattori nucleari attivi di cui due in costruzione. Il 26 aprile di quell'anno, gli operatori impegnati nell’esecuzione di un test, persero il controllo del reattore numero Quattro da cui si sviluppò un incendio che distrusse l’edificio. Il conseguente aumento della pressione causato dall’accumulo di vapore determinò l'esplosione del nucleo con conseguente diffusione di materiale radioattivo nell'aria. Successivamente si registrò il surriscaldamento e l’infiltrazione del combustibile all'uranio. Il risultato finale fu che cospicue quantità di iodio radioattivo, cesio, stronzio e plutonio, così come altri isotopi prodotti durante la fissione nucleare, si sparsero su un'area di circa 150.000 km2. In quella terribile occasione persero la vita nell'esplosione iniziale 2 lavoratori mentre 28 soccorritori morirono nei tre mesi successivi a causa delle radiazioni. Collateralmente, cinquantamila residenti furono evacuati dalla vicina città di Pripyat e, fatto ancor più grave, almeno 1.800 bambini residenti nell'area interessata, svilupparono un cancro alla tiroide.


Come già scritto, gli isotopi radioattivi più pericolosi che vennero rilasciati a seguito dell’incidente furono lo iodio-131, lo stronzio-90 ed il cesio-137. Lo iodio-131 è caratterizzato da una “Half-Life”, ossia il tempo di dimezzamento pari al tempo occorrente per ridurre alla metà la quantità di un isotopo radioattivo, di circa solo 8 giorni. Può produrre rapidamente alti livelli di radiazioni in grado di causare il cancro, specialmente a livello tiroideo. La struttura chimica dello stronzio-90, invece, gli consente di sostituirsi facilmente al Calcio e quindi di di essere assimilato da denti e da ossa, ma la sua Half-Life è di ben 29 anni. Il cesio-137 infine, con un tempo di dimezzamento di 30 anni, oltre ad essere uno dei prodotti secondari più comuni della fissione, risulta essere altamente radioattivo, chimicamente reattivo, solubile e talmente leggero da favorire la contaminazione anche a grandi distanze.


Analizziamo ora come si presenta il sito oggi. Nelle settimane successive all'incidente, l'edificio che ospita il reattore e che presenta ancora materiale combustibile altamente radioattivo, venne “sigillato” all’interno di una struttura di cemento e acciaio chiamata “il sarcofago”. E’ abbastanza ovvio che, con il passare degli anni, tale struttura abbia iniziato a manifestare i primi segni di deterioramento.

Per far fronte a questa problematica venne costruita, a copertura della precedente protezione, una seconda struttura che fu completata nel 2019, progettata per far fronte ad eventi quali tornado e terremoti. In un'altra struttura del sito invece, venne raccolto il combustibile rimasto dopo l’esplosione. Questo è tuttora conservato nell'acqua sia per mantenere il raffreddamento sia per garantire una adeguata schermatura dalle radiazioni. Lo scorso anno si diede il via ad un processo per cui, una volta che il carburante viene sufficientemente raffreddato, questi viene trasferito in un deposito a secco in quella che viene definita come zona di esclusione.

Uno studio del 2009 condotto dai ricercatori del Savannah River National Laboratory rilevò che il livello di contaminazione nell'area interessata non sembrava diminuire così velocemente come si era inizialmente previsto. I ricercatori hanno comunque costantemente condotto una lunga serie di studi ambientali e biologici, grazie ai quali, negli anni, una parte dell’area è anche stata, sia pure limitatamente, riaperta al turismo, mentre alcuni residenti sono rientrati nelle proprie abitazioni.


E veniamo a cosa sta accadendo in questi terribili giorni. Chernobyl si trova tra la capitale ucraina di Kiev e il confine con la Bielorussia e sebbene l'Ucraina avesse di stanza forze di sicurezza nell'area, onde controllare la situazione, ciò non è bastato per respingere le forze speciali e le truppe aviotrasportate inviate dalla Russia.

Il governo ucraino ha affermato che il monitoraggio della radioattività nell'area, ha rilevato un aumento dei livelli di radiazioni dopo l'attacco su Chernobyl. SAFECAST, un’organizzazione internazionale, senza scopo di lucro per il monitoraggio dei dati ambientali, ha scritto su Twitter (https://twitter.com/safecast/status/1497215329767870470) che la spiegazione più probabile fosse quella legata ad un massiccio sollevamento di polvere radioattiva sul terreno da parte delle truppe militari russe durante il loro spostamento.

Inoltre, sempre secondo SAFECAST, le apparecchiature di monitoraggio hanno avuto problemi di connessione, e successivamente le letture fornite dai sensori sono rientrate molto rapidamente nell’ambito della normalità. Per tali ragioni gli esperti interpellati hanno dichiarato che il picco registrato potrebbe  essere stato causato proprio da un malfunzionamento dei sensori di rilevamento.

A tale proposito, Claire Corkhill, professoressa della Sheffield University ed esperta di materiale nucleare nel Regno Unito, ha dichiarato su Twitter (https://twitter.com/clairecorkhill/status/1497159634188132352) che, sebbene i picchi fossero fino a 20 volte oltre la norma, in termini relativi risultavano comunque "non particolarmente elevati”. Per rendere meglio l’idea, basti sapere che nei pressi del reattore di solito si registra una dose di 3 microsievert all’ora (µSv/h); questo valore è salito sino a 65, ossia “solo” 5 volte di più dei valori che si osservano per un normale volo transatlantico (13 µSv/h).


Concludo, sulla base di queste informazioni, su quali potrebbero essere i rischi connessi a questa azione militare. Steven Arndt, esperto di ingegneria nucleare e presidente dell'American Nuclear Society, ha dichiarato che è molto improbabile che la seconda struttura edificata nel 2019, a copertura del “sarcofago”, possa essere danneggiata accidentalmente: “Non sono eccessivamente preoccupato che le radiazioni possano diffondersi a grandi distanze a partire dalla zona di esclusione”.

Ha poi aggiunto che con ogni probabilità le truppe che entrano nell'area sono state esaustivamente informate circa le precauzioni da prendere, nonché adeguatamente equipaggiate per cui se anche i movimenti delle truppe possono smuovere il terreno contaminato, è altamente  improbabile che questo fatto possa contribuire a diffondere le radiazioni a ragguardevoli distanze. Kate Brown, una storica del Massachusetts Institute of Technology che ha studiato ciò che avvenne a Chernobyl, riporta di aver parlato con un'amica che lavorava nello stabilimento e che vive nelle vicinanze, la quale ha assicurato  che le misure di sicurezza implementate nella ricostruzione della struttura sono in grado di sopperire ai danni causati da un eventuale scontro a fuoco.


Di seguito riporto l’articolo relativo alle reazioni delle scienziati all’invasione russa dell’Ucraina. https://cen.acs.org/people/Scientists-react-Russian-invasion-Ukraine/100/web/2022/02


 

venerdì 25 febbraio 2022

LE DIVISIONI INVISIBILI DELL’EUROPA ALL’EPOCA DELLA COVID


Secondo i risultati contenuti nel rapporto ECFR (European Council on Foreign Relations ), “Europe's Invisible Divisions: How Covid-19 is Polarizing European Politics" scritto e pubblicato ad inizio Settembre 2021 dagli esperti di politica estera Ivan Krastev e Mark Leonard, diciotto mesi dopo lo scoppio della COVID-19 in Europa, si possono raccontare le storie di DUE pandemie “diverse” all’interno dell’Unione. Questo rapporto si basa su molteplici sondaggi, che a mio modo di vedere sarebbe almeno utile leggere indipendentemente dallo spirito di condivisione o meno, condotti all’interno di 12 Stati membri dell'UE (complessivamente rappresentanti 300 milioni di cittadini e l'80% del PIL dell'Unione Europea). Da un lato la maggior parte degli europei del Sud e dell’Est ritiene o almeno ha percepito come il virus abbia prodotto gravi danni, quali un innumerevole numero di malati, lutti ed ingenti difficoltà economiche. Dall’altro, all’interno dei confini dell’Europa Occidentale e Settentrionale si manifesta esattamente il contrario sia pure con la maggior parte gli intervistati che descrivono come la pandemia rappresenti un evento decisamente terribile.

Tanto per portare un esempio, in Ungheria, il 65% degli intervistati nel sondaggio ECFR ha affermato di aver subito pesanti ripercussioni personali a causa del virus, rispetto al 72% dei danesi, che ha affermato, al contrario, come la pandemia non li abbia affatto colpiti e con una Francia in cui il 64% dei cittadini afferma che il virus non ha avuto alcun impatto su di loro.

Le motivazioni alla base di queste evidenti dicotomie, (culturali, politiche, geografiche, generazionali ecc ), dimostrano come i diversi Paesi non siano riusciti a gestire la pandemia in modo univoco ed efficace. La conseguenza è stata l’alternanza di periodi in cui si sono applicati i consigli suggeriti delle comunità scientifiche, a cui si sono contrapposti periodi durante i quali i timori legati ad ingenti perdite in ambito economico hanno di fatto reso inapplicabili approcci decisamente più rigorosi per il contenimento della diffusione del virus. 

Del resto, man mano che l’andamento della pandemia è andato migliorando, come ora, giustamente, la scienza, ha da subito invocato un passo indietro rispetto a quanto viene richiesto alla politica ed alle sue decisioni. E tanto per essere realisti ( e meno ipocriti ), è impossibile non notare come questa terribile emergenza sanitaria vissuta dall’Europa, non abbia fatto altro che riproporre il cliché già visto con l’adozione dell’euro e la gestione della crisi dei rifugiati, con una Europa del Sud e dell’Est che palesemente si è sempre dichiarata gravemente colpita e compromessa rispetto a quella del Nord e dell’Ovest.

Questo sondaggio ha esplicitato anche un'altra divisione all’interno dell’Unione, rispetto al rapporto tra Stato e concetto di libertà individuale con un solo 22% degli europei che affermava di sentirsi "libero", rispetto al 64% di due anni prima.

Ecco il link ove poter leggere l’intero rapporto: https://ecfr.eu/publication/europes-invisible-divides-how-covid-19-is-polarising-european-politics/


sabato 12 febbraio 2022

COME LA STRUTTURA CHIMICA DEGLI ALLUCINOGENI PUO’ SPIANARE LA VIA PER LO SVILUPPO DI NUOVI FARMACI ANTIDEPRESSIVI.


MACBETH:

Guariscila di questo.

Non sai somministrare nulla a una mente inferma,

strappare dalla memoria un dolore che vi si è radicato,

cancellare le scritte angosciose dal cervello,

e con qualche dolce oblioso antidoto

liberare il petto ingombro

dalla materia pericolosa che pesa sul cuore?

                                                                                                                                        

La depressione è una malattia comune, che rappresenta nel mondo un problema sociale, caratterizzata da un umore ansioso con un corredo variabile di sintomi, e che l’OMS stimò diventare la 2° causa di disabilità entro il 2020. Statisticamente 1 donna su 4 ed 1 uomo su 10, può sviluppare questa patologia nell’arco della propria vita. Già nel 2016, solo negli USA, approssimativamente il 6-7% dei lavoratori a tempo pieno ne ha sofferto. Nel mondo, alcune molecole ascrivibili alle principali classi di farmaci anti depressivisi si sono classificate tra le 50 più dispensate nonché terze tra il numero totale di prescrizioni e nella classifica delle vendite, pari ad un volume di affari di circa 12,5 miliardi di $ che corrisponde a circa il 5% delle vendite totali dei farmaci.

Dal punto di vista farmacologico, i farmaci impiegati per tale patologia, si dividono, attualmente, in:

IMAO o inibitori delle monoamino ossidasi.

TCA o antidepressivi triciclici.

SSRI o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.

SNRI o inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina.

ANTIDREPRESSIVI ATIPICI.

Nel corso degli anni la ricerca ha di molto migliorato la terapia e la prognosi della depressione. Purtroppo però, il lungo tempo di latenza prima di riscontrare l’effetto terapeutico, la presenza di effetti collaterali non indifferenti e la resistenza indotta alla resistenza alla terapia, rappresentano ancora, dal punto di vista farmacologico un bel problema, e questo rappresenta il motivo per cui si stanno esplorando altre ipotesi di meccanismi biologici. Vediamo dunque che cosa si sta prospettando in questo senso.


L’individuazione e la comprensione della forma a cristalli e della relativa disposizione delle molecole che costituiscono alcuni composti psicoattivi capaci di legarsi ad un recettore “chiave” della serotonina, grazie alla diffrazione dei raggi x, sono di fondamentale importanza in ambito chimico farmaceutico dal momento che, caratterizzandone alcune proprietà fondamentali come la solubilità, la stabilità, il processo di dissoluzione, (ossia quando un composto dalla forma particellare passa alla forma ionica o molecolare), la biodisponibilità e la capacità di poterli presentare sotto forma, per esempio, di compressa grazie ad una ben determinata pressione di “compattazione”, suggeriscono strategie di progettazione per terapie non allucinogene.

Questo recettore “chiave” della serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT) è identificato come 5-HT2A ed i ricercatori lo stanno indagando da tempo nel tentativo di comprenderne alcuni “segreti”. Uno tra tutti, capire come mai quando alcuni composti allucinogeni, tra cui LSD e psilocibina ad esempio, legandosi a questo recettore del nostro sistema nervoso centrale causano profonde alterazioni della coscienza, delle emozioni e della cognizione ( allucinazioni ), la stessa cosa non si realizza quando ciò avviene con altri composti, serotonina inclusa.


Effettivamente, nel corso degli anni è stato dimostrato che l'LSD o la psilocibina, ad esempio, sono in grado di trattare sia la depressione (https://www.statnews.com/2021/11/09/largest-psilocybin-trial-finds-psychedelic-effective-treating-serious-depression/) sia i disturbi legati all’abuso di sostanze quali alcol o nicotina (https://www-ncbi-nlm-nih-gov.translate.goog/pmc/articles/PMC4813425/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc), ma purtroppo causano effetti allucinogeni, che ne ostacolano ovviamente l’impiego. Per questo motivo gli studi più avanzati dei ricercatori si stanno concentrando nell’individuazione di molecole in grado di mantenere la capacità di agire sulla variabilità dell’umore, senza causare allucinazioni.


In questo studio pubblicato sulla rivista Science (10.1126/science.abl8615) un team guidato dal Dr Sheng Wang presso il Center for Excellence in Molecular Cell Science - Shanghai Institute of Biochemistry and Cell Biology, dell'Accademia Cinese delle Scienze ed il Dr Jianjun Cheng dell’ Human Institute, della ShanghaiTech University ha presentato una “scoperta” che potrebbe accelerare la formulazione di analoghi psicoattivi privi di attività allucinogena, basandosi per la prima volta su una strategia che prevede la progettazione di strutture innovative per la formulazione di nuovi composti antidepressivi ad azione rapida. La base di partenza di questo studio è stato quello di visualizzare strutture rappresentate dal legame tra il recettore 5-HT2A con molecole quali la psilocina (il metabolita attivo della psilocibina), la dietilamide dell'acido D-lisergico (LSD), la serotonina e l’lisuride, un agente non allucinogeno impiegato nel trattamento del morbo di Parkinson.

Più in particolare gli scienziati hanno iniziato il loro studio esaminando più da vicino gli allucinogeni nel tentativo di individuare i meccanismi in grado di dare sollievo a chi soffre di depressione e, parallelamente, per verificare se gli effetti allucinogeni di queste sostanze costituiscono un effetto imprescindibile per la piena efficacia terapeutica di tale trattamento.


Nell’ambito di questa ricerca, gli Autori hanno esaminato da vicino l’LSD e la psilocibina quando si legano al recettore 5-HT2A utilizzando la cristallografia a raggi X e sono stati in grado di determinarne le conformazioni. Ciò che è apparso subito evidente è che entrambe le molecole sarebbero state in grado di legarsi al recettore 5-HT2A in due modi, sfruttando due diversi siti di legame chiamati in gergo anche “tasche” presenti sul recettore chiamati rispettivamente OBP (tasca di legame ortosterico) ed EBP (tasca di legame estesa) generando con entrambe le modalità, un’unica conformazione molecolare.

Seguendo questa linea i ricercatori si sono concentrati sul tentativo di sviluppare composti sfruttando l’interazione con il recettore 5-HT2A, evitando però un legame all’interno di una “tasca” idrofobica (perché una tale interazione avrebbe potuto stimolare l’insorgere di allucinazioni) ed utilizzando la seconda tipologia di legame (quella con l’EBP per intenderci), capace di dar vita ad un’unica, nuova, conformazione molecolare.


Riuscendo a visualizzare le differenze nel modo in cui tutte queste molecole si riescono a legare, i ricercatori hanno quindi progettato diversi composti ipotizzando che sarebbero stati in grado di interagire con il recettore 5-HT2A senza indurre allucinazioni e tra questi, in particolare, due sostanze a cui George Lucas non avrebbe saputo proporre due nomi più originali: IHCH-7079 e IHCH-7086.

I ricercatori hanno somministrato questi due composti ad uno di due gruppi di topi seguendo un classico modello animale ( al secondo gruppo sono state somministrate sostanze come LSD o psilocina) e per verificare quali dei due gruppi sviluppasse allucinazioni, si sono affidati al Twitch Test. Ora, per questioni facilmente intuibili, evito di approfondire ulteriori particolari circa la metodica piuttosto complessa di questa sperimentazione, riassumendo in conclusione che i ricercatori hanno rilevato che la somministrazione di questi due composti, se da un lato ha mostrato di poter alleviare alcuni sintomi legati alla depressione, dall’altro non ha mostrato segni che potessero indicare la comparsa di effetti allucinatori.


Gli autori in un'e-mail a Technology Networks hanno affermato: “Questi risultati forniscono una solida base per la progettazione basata sulla struttura di antidepressivi non allucinogeni e ad azione rapida sicuri ed efficaci"

In ogni caso, nonostante questi risultati iniziali possano indurre a pensare di essere molto prossimi a rendere i farmaci con spiccata attività allucinatoria più flessibili ed efficaci, i ricercatori sono stati necessariamente cauti riguardo al loro studio, ancora in una fase troppo precoce. Come hanno avuto modo di chiarire: "Va sottolineato che i composti riportati in questo studio non sono farmaci approvati, anzi, devono ancora essere assolutamente ottimizzati, dal momento che la dose minima efficace nei topi è ancora troppo alta. Pertanto saranno necessari ulteriori studi pre-clinici e clinici per verificarne la sicurezza e gli effetti antidepressivi nell'uomo”. 


Ciò non toglie che la strada intrapresa, sia molto promettente e probabilmente quella giusta, ma questo lo vedremo presto in un non lontano futuro.